Page 14 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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             Mediterraneo centrale e orientale, come pure le propensione a farlo, quando pos-
             sibile,  nel quadro di  missioni internazionali.  Non è senza significato che potenze
             coma la Spagna,  la  Grecia,  la Turchia,  la  Romania - tanto per far  dei  nomi - si
             pongano su  un  piano  diverso,  che  attribuisce  loro  un gradino  più  basso  in  una
             scala teorica delle  potenze.
                  Fin dall'inizio l'Italia ha  preteso molto, ma con l'andata a Roma l'ambizione
             diventa  filosofia,  la  geografia politica e strategica viene ripensata.  Si  scopre la  pe-
             nisola, i problemi delle Forze Armate non consistono più solamente nella difesa di-
             retta delle frontiere continentali che incombono sulla valle del Po.  Questi concetti
             trovano una sistematica, diventano ideologia per una  parte non trascurabile e ru-
             morosa  di  opinion  makers.  Due  punti  critici  si  sono  proposti  subito:  il  canale
             d'Otranto e il canale di  Sicilia,  e diventano ambizioni strutturali.  La  loro portata
             non è modesta, perché il  primo tema conduce allo scontro con l'Austria per il con-
             trollo strategico dell'Adriatico  e per l'influenza  nei  Balcani;  il secondo porta alla
             concorrenza con le grandi potenze marittime occidentali, uno sguardo all'Africa e
             un altro al  bacino orientale del Mediterraneo, dove si  apre il  canale di  Suez.
                  Certo,  gli  occhi  sono  più  grandi  della  bocca,  ma  la  storia  non  dà  tregua.
             L'Italia  non ha,  né  mai  avrà, uno spazio di tempo tranquillo, sufficiente per cre-
             scere in maniera equilibrata. Le  Forze Armate di altri paesi hanno avuto tirocini
             di  secoli,  quando  quelle  italiane  hanno  dovuto  improvvisarsi  a  dimensione  na-
             zionale  immediatamente, essere e servire subito,  in  tempo di pace come in tem-
             po di  guerra.  Come nell'opera di  Musorgskij  Boris  Godunov si  sente  obbligato
             di  dire alla morte che "morirà quando avrà tempo", così  l'Italia si  trova costret-
             ta ad agire senza poter mettere in  atto una preventiva, necessaria azione di con-
             solidamento:  benché inevitabile, anche questa è una bella pretesa. D'altra parte,
             come già tante volte rilevato, corrono i tempi d'oro dell'imperialismo europeo e
             non  si  può  fare  a  meno,  se  si  vuoi  ricoprire  un  certo  ruolo  internazionale,  di
             "correre col  branco" come dice  Kipling,  un  branco di  potenze vere, forti  e pro-
             pense ad imporre la  loro supremazia.
                  E allora inutilmente  Bismarck  raccomanderà agli  italiani  di  impegnarsi solo
             per combattere il disavanzo: se il governo della Destra gli darà ascolto, la Sinistra
             risponderà che  non si  vive  di solo pane, e nel  1876 andrà al  potere.  Chabod no-
             ta che  il  vero problema è se  una nazione può, da Roma, contentarsi di  vita  tran-
             quilla o deve aspirare alla grande politica. Già uomini del Risorgimento - Mazzini,
             Cattaneo, Minghetti - hanno parlato di Tunisi e dell'Oriente:  come impedire che
             l'immaginazione si  apra e  fioriscano  nuove  speranze,  anche  se  c'è  pur sempre  il
             vincolo  implacabile delle cose,  e la  politica selliana del  risparmio, e qualche gril-
             lo parlante ammonisce: "Noi non siamo ricchi, non siamo forti?" Nel Mediterraneo
             - scrive Fernand Braudel - "l'Italia trova il senso del proprio destino: è l'asse me-
             diano del  mare ...  Naturale è  quindi  per lei  la  possibilità,  e  naturale  il  sogno,  di
             dominare  il  mare  in  tutta  la  sua estensione".  Tutto  ciò si  sviluppa  in  Italia  negli
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