Page 18 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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             incentivi economici e finanziari capaci di attirare l'interesse di altri? Per condurre
             atti  rilevanti  al  servizio  della  politica  estera  la  scelta  delle  Forze  Armate  come
             mezzo appare obbligata.  Ma per essere  mezzo  è necessario che esse  non escano
             dal  campo  tecnico  loro  congeniale  e  non  pretendano  di  effettuare  le  scelte  di
             fondo.  E infatti le  Forze Armate italiane non avranno  mai, a  differenza di  quel-
             le  di  altri paesi,  una propria politica internazionale distinta da quella del gover-
             no. Le  alleanze sono un dato da assumere, non da discutere, la  politica coloniale
             pure:  ad esempio, che  Riboty sia favorevole ad andare ad Assab mentre Brin ve-
            de l'Eritrea come il  fumo agli  occhi, è ininfluente sulla definizione degli scopi e
            sulla condotta delle  missioni  militari,  perché  è  il  Governo che decide  le  misure
             da adottare e i tempi. Albini a Tunisi,  Canevaro e l'Esercito a Creta e le  forze  di
             terra e di  mare  in  Cina,  Italo  Balbo  in  Canada, sono gestiti  dalla  politica estera
             nazionale,  non viceversa.  Il  capo militare interessato  mantiene il  controllo degli
            aspetti tecnici,  formulando se  mai, ma non imponendo, suggerimenti e opinioni
            che abbiano valenza  politica.
                 Uscendo per un attimo dal seminato ricorderò che analogo  rapporto si  ma-
            nifesta anche per talune missioni speciali del  tempo di  guerra, come le  azioni at-
            tuate  o  immaginate - il  capo  di  Stato  Maggiore  dell'Esercito  Pollio  proporrà di
            sbarcare a Smirne, ma  Giolitti temerà che il  rilancio sia troppo forte  per indurre
            la Turchia finalmente  alla pace  nel  1912.
                 Quando Revel, nell'aprile 1913, scrive che è necessario "o cambiare la Marina,
            o cambiare la politica", avvertendo l'inadeguatezza tecnica della flotta rispetto al-
            la politica estera, si  esprime in  un contesto tecnico - uno studio in  preparazione
            delle  trattative per la  seconda  Convenzione  navale  della Triplice - tanto che sul
            momento il  Governo non terrà alcun conto della segnalazione; e ancora, quando
            nel  1918 lo stesso Revel si impegna a fondo per le occupazioni adriatiche, egli  ri-
            mane soltanto lo snodo militare di decisioni politiche assunte da altri: sono Orlando
            e Sonnino - Presidente  del  Consiglio e Ministro degli  Esteri - che  vogliano  ten-
            tare la via del fatto compiuto e premono perché le  operazioni siano concluse nel
            tempo più  breve possibile.
                 Non deve stupire che per le  missioni si  ricorra in  massima parte alla Marina.
            Strumento tradizionale  di  intervento e di  presenza all'estero,  il  suo impiego  pre-
            senta il massimo grado conseguibile di  flessibilità,  particolarmente utile nella fat-
            tispecie  delle  missioni  militari  in  tempo  di  pace.  Essa  può  effettuare  interventi,
            anche  in  teatri  lontani,  realizzando  nel  massimo  grado  possibile  una  corrispon-
            denza  tra problemi  e vertenze  e il  livello  di  impegno voluto.  Il  rischio  di  ingag-
            gio sproporzionato o tardivo, o quello opposto della rinuncia, dovrebbe risultare
            meno grave con l'impiego dello strumento navale.  Inoltre l'uso delle  navi in fun-
            zioni della politica in tempo di  pace è talmente adattabile che si può perfino pre-
            scindere  dallo  stabilimento  preventivo  del  potere  marittimo,  sfruttando
            opportunamente il possibile disinteresse altrui alla questione locale.
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