Page 23 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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LE CAMPAGNE OCEANICIIF DELLA REGIA I"IAIUNA 13
Non c'era ancora il petrolio ed il carbone rappresentava la sola principale
fonte di energia; ma sulle navi i cannoni erano ancora ad avancarica, come
quattro secoli addietro.
Per quanto concerne l'attività marittima italiana scrive Ludovica de Courten (3)
che:
''All'epoca della proclamazione del Regno la marina mercantile italiana era
fra le più importanti del mondo, pur stando a notevole distanza da quelle
dell'Inghilterra, della Francia e dell'Austria. Al 31 dicembre 1862, secondo le
statistiche ufficiali essa era composta di 52 piroscafi, e di ben 9.356 velieri, ma
gli stessi piroscafi erano per la maggior parte in legno e a ruote. Ancora nel 1875
la proporzione vela-vapore era di 10.828 bastimenti a vela (tonn. 987.190) (dei
quali 34 in legno e 107 in ferro) e 141 a vapore (tonn. 57.147). In tale ambito il
compartimento di Genova restava sempre al primo posto nelle costruzioni navali,
immatricolando nello stesso 1875, più della metà del tonnellaggio a vela e quasi
due terzi di quello a vappre, come in generale la Liguria era stata all'avanguardia
già con le costruzioni in legno fin dall'età preunitaria.
Le costruzioni in ferro, invece, iniziate a Livorno, a La Spezia, a Castellammare,
progredirono stentatamente, così la marina mercantile dovette ricorrere ai cantieri
stranieri specialmente inglesi, o acquistare vapori in ferro cii seconda mano presso
armatori che li sostituivano con naviglio più recente.
Certo fino al 1870, come veniva anche ricordato nell'inchiesta Boselli, si
trattava soprattutto di una marina destinata al cabotaggio lungo le coste della
penisola ° alla navigazione nel Mediterraneo. Però l'entusiastico liberismo affermatosi
con i primi anni dell'Unità, facilitati gli scambi e la reciprocità cii navigazione delle
marine estere nei nostri porti e di quella nazionale nei porti esteri, fece sì che la
nostra marina a vela prenclesse un grande slancio anche a livello di costruzioni,
con conseguente aumento di domancla sul mercato internazionale.
L'ampio traffico che la marina velica italiana esercitava nei porti del mar
Nero e del Danubio, l'esercizio del cabotaggio sulle coste della Dalmazia, ciel
litorale ungaro-croato-istriano, sulle coste francesi del Mediterraneo e della Tunisia
furono causa per essa di un successo notevole ma effimero che la portò ad allontanarsi
dalle coste italiane aprendole alle marine straniere, le quali invece, nello stesso
tempo, specie l'Inghilterra, con la trasformazione del naviglio finirono per soppiantarla
anche nel Danubio e nel mal' Nero.
La crisi era dunque soprattutto crisi della marina a vela, aggravata dalla concorrenza
straniera, come risultò chiaro all'atto dell'apertura del canale di Suez.
Su quest'ultimo si erano appuntate molte speranze di vedere l'Italia trasformarsi
di nuovo in "emporio universale", con Genova, Venezia e Brindisi destinate ai
traffici del Levante. Ma nonostante i successi ciel pioniere ciel vapore, Rubattino,
e della sua Valigia delle Indie, la forte tassa cii transito (di IO lire per tonnellata e
per passeggero) oltre alla qualità clei venti ciel mar Rosso, impeclirono alle nostre
navi a vela cii servirsi cii quella via, mentre il giro ciel Capo cii Buona Speranza
divenne per esse troppo lungo.