Page 15 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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LE AMBIZIONI DEI. NUOVO STATO NEL MONDO - LE MISSIONI MILITARI ITALIANE ... 5
anni '70 del secolo XIX, in una situazione di assoluta incoerenza con le reali pos-
sibilità economiche e militari. Sarà una discrasia destinata a durare anche quando
la situazione migliorerà e ad aggravarsi con la crisi di fine secolo.
Eppure quel periodo difficile merita un richiamo, perché consente qualche
riflessione sulla valutazione che l'Italia dà delle sue priorità e del raggio dei suoi
interessi politici.
Il l° marzo 1896 accade il disastro di Adua, nel quale muoiono più italiani
che in qualsiasi battaglia del Risorgimento. Nel paese si diffonde un'atmosfera
fosca, mentre il prestigio internazionale italiano scende allivello più basso. Il nuo-
vo presidente del Consiglio di Rudinì e il suo Ministro della Marina Brin vor-
rebbero abbandonare l'Eritrea, vendendola al Belgio o all'Inghilterra o, se non
si riesce, a regalarla. In proposito Brin, come riporta Domenico Farini, litigherà
con la regina che vorrebbe la rivincita. Autorevoli esponenti dell'Esercito sono
orientati a tenere soltanto Massaua.
Ma nel maggio si verifica una strana palingenesi. Scoppia la crisi di Creta e
gli italiani vi si impegnano più di tutti, assumendo con l'ammiraglio Canevaro la
presidenza del Consiglio degli Ammiragli, l'organo che dirige in loeo le opera-
zioni della forza internazionale intervenuta. Come mai un governo costituito per
un programma dimesso, che tentava di ridurre la consistenza dell'Esercito, che ri-
cercava la pace con Menelik, decide di esporsi, malgrado l'esistenza di difficoltà
finanziarie così stringenti da impedire al precedente governo di rinforzare le trup-
pe di Baratieri, e di esporsi tanto da avere nelle acque di Creta più navi di tutti e
sull'isola il secondo presidio di forze terrestri?
Creta è nel Mediterraneo, prima priorità della politica estera italiana. La
missione di Creta non è legata a un'avventura coloniale, ma rappresenta un even-
to da cogliere al volo e va sostenuta in grande stile perché incide sulla funzione
e sulla caratura del Paese. Di San Giuliano criticherà "l'ostentazione di mandare
a Candia una flotta molto più numerosa cii quella mandata da altre potenze eu-
ropee e l'ufficiale più alto in grado"; Colajanni troverà inopportuno "tanto lusso
di navi". Ma ostentazione e lusso sono politica estera.
Dal punto di vista italiano, specialmente dopo Adua, l'intervento è inevita-
bile, e inevitabile è il modo. Sulla missione di Creta si gioca il ruolo della nazio-
ne come compartecipe dell'equilibrio mediterraneo e del concerto delle potenze.
La posta è talmente alta che nessun governo italiano si può sottrarre. Il vecchio
sogno mazziniano della supremazia nel Mediterraneo è superato, ma in quel ma-
re, anche dopo la perdita di Tunisi, vi sono ambizioni vitali da preservare. Una è
l'idea di TrifJoli, come la definisce Bariè, sulla quale in Italia c'é un vasto consen-
so, da Robilant, che ritiene quella conquista non "un problema coloniale, bensì
un problema vitale per la posizione mediterranea e quindi europea dell'Italia", fi-
no al prudente e cauto Visconti Venosta, il quale alla fine del secolo dirà che, per
Tripoli, avrebbe dato fuoco alle polveri.