Page 226 - Missioni militari italiane all'estero in tempo di pace (1861-1939)
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LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA SPEDIZIONE INTERNAZIONALE CONTRO I 1I0XER... 217
presenza politica"(4). Il confronto tra il "socialimperialismo" crispino e la moderazione
dei liberai-conservatori si stava dunque delineando per l'ennesima volta, con da
un lato i sostenitori di una politica delle cannoniere più o meno orientata a una
azione para-coloniale e dall'altro i fautori di una pitl accorta e graduale iniziativa
di penetrazione commerciale che proteggesse sì gli operatori italiani colà dislocati
ma al contempo preservasse l'Italia da una nuova avventura: il disastro di Adua
era ancora troppo recente.
Il richiamo alla sconfitta africana e il sostegno all'iniziativa commerciale furono
infatti le linee principali dell'azione parlamentare di Carlo Di Rudinì, il figlio del
Presidente del Consiglio noto per le sue posizioni "eretiche" all'interno dello
schieramento di destra e per la sua predisposizione alla politica estera: l'Italia non
avrebbe dovuto imbarcarsi in un'ennesima avventura "crispina" ma al contrario
avrebbe dovuto porsi dinanzi al Celeste impero come interlocutore privilegiato
giocando sul suo ruolo di "piccola tra le grandi potenze" e di nazione estranea sino
ad allora alle vicende asiatiche. Il risultato avrebbe dato notevoli vantaggi commerciali
ma anche grandi concessioni minerarie, ferroviarie e cessioni di monopoli di vario
genere: "L'Italia, che non è soverchiamente temuta dal Governo chinese ( ... ) ma
che ha abbastanza autorità per far sentire la sua azione, che non è fatta segno alle
gelosie e alle rivalità delle grandi potenze, l'Italia certamente potrà, più facilmente
che le altre grandi nazioni, ottenere quelle concessioni e quei vantaggi, che sopra
ho accennati"(5). La contestazione dell'esponente conservatore all'azione del governo
si riduceva a una critica circa la debolezza del sostegno militare: l'incrociatore Marco
Polo appariva agli occhi del figlio del Presidente del Consiglio "troppa poca cosa"
rispetto al sostegno che le flotte degli altri paesi avevano dato alla corrispondente
iniziativa commerciale. Pur respingendo certe velleità para-coloniali di alcuni
esponenti crispini, Carlo Di Rudinì non accettava il tenue impegno della Marina
italiana nel mar Giallo. La risposta di Visconti Venosta fu un'assicurazione circa
l'imminente rafforzamento della flotta italiana allargo di Pechino. Tuttavia, il titolare
degli Esteri faceva notare alla Camera che il traffico industriale e commerciale tra
Italia e Celeste impero era ancora troppo scarso per potere essere paragonato alle
radicate relazioni intesse da Francia, Gran Bretagna e Germania, ognuna delle quali
inoltre aveva relativamente poco lontano dalle coste cinesi insediamenti coloniali
(l'Indocina, Hong-Kong, i possedimenti tedeschi in Oceania). Nella sua replica, Di
Rudinì dimostrò una certa sagacia e persino lungimiranza quasi profetica: "Oggi,
nell'Estremo Oriente, noi ci troviamo di fronte a un momento politico affatto
transitorio, di cui bisogna saper profittare, perché non durerà certamente che
pochi anni; durante i quali il Governo cinese, per poter pagare i propri debiti e
per potere entrare nel movimento economico civile, darà le proprie produzioni a
coloro che sapranno prenderle per primi e fin d'ora ipotecarle"(6).
La caduta del governo Di Rudinì nel giugno 1898 e la nomina del generale
Luigi Pelloux a nuovo Presidente del Consiglio vide al dicastero degli Esteri un