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Scenari Sahariani – Libia 1919-1943 “La via itaLiana aLLa guerra neL deserto”


                  estenuante, tormentoso, tale da dare ai colpiti l’ossessione di una minaccia che
                                                                              112
                  viene dal cielo, senza requie e senza pietà, come un inesorabile castigo di Dio.
               Non va però dimenticato che in non pochi casi i comandi italiani limitarono,
            come  si  è  visto,  il  ricorso  alla  violenza,  e  questo  non  solo  in  relazione  al
            comportamento  delle  truppe  indigene,  ma  anche  all’utilizzo  della  potenza  di
            fuoco. Del resto, per battere un avversario elusivo e sfuggente non bastava la
            forza ma erano necessarie duttilità e capacità di manovra.

               Un’analisi delle operazioni per la riconquista della Libia, che non sia condizionata
            da parametri di tipo ideologico e moralistico, e tenga conto del fatto che gli
            eventi storici vanno valutati con gli occhi del tempo, non può non riconoscere
            che i diversi cicli operativi furono caratterizzati da un’efficacia crescente e da un
            impiego sempre più affinato dei mezzi a disposizione. Il raffronto con l’operato
            delle altre potenze coloniali, e anche con quanto teorizzato dagli studi in materia
            di controinsurrezione, o di “piccole guerre”, permette di rilevare il rispetto dei
            principi  fondamentali  di  quel  tipo  di  operazioni,  e  anche  una  condotta  delle
            stesse in linea con quanto proposto  dalle soluzioni all’epoca più avanzate di
            empire  policing ed  empire  building.  La  raffigurazione  macchiettistica  del  militare
            italiano di stanza in Africa non è suffragata dai fatti e lascia doverosamente il
            campo a una figura di professionista ben consapevole dei problemi da affrontare
            e costantemente proteso a individuare le soluzioni più idonee per il particolare
            contesto ambientale. Da questo punto di vista il Regio Corpo Truppe Coloniali,
            sia della Tripolitania che della Cirenaica, fu negli anni ’20 una autentica learning
            organization, in grado di imparare dagli errori per raggiungere un alto grado di
            efficienza. In proposito non si può che condividere l’opinione di Giorgio Rochat
            a proposito delle operazioni del 1928 nella Sirtica e sul 29° parallelo:
                     Queste  operazioni  si  conclusero  con  un  grosso  successo,  che  dimostrava
                  come le forze italiane, avvalendosi sia di tutti i più moderni ritrovati tecnici (radio,
                  aviazione, autoblindo, colonne di autocarri), sia di mezzi tradizionali (carovane di
                  cammelli carichi di rifornimenti ma soprattutto reparti libici montati su mehari,
                  che avevano la stessa mobilità delle mehalla dei ribelli e una netta superiorità di
                  armamento, rifornimenti e mezzi tecnici) avessero ormai acquisito una decisiva
                  prevalenza nelle pianure desertiche e predesertiche.
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               La capacità di integrare colonne mobili, di composizione variabile in funzione
            dell’esigenza, e squadriglie della Regia Aeronautica in uno strumento aeroterrestre
            utilizzato nel segno dell’iniziativa e di una spiccata aggressività, con il sostegno di
            una struttura logistica appoggiata a un’organizzazione mirata del territorio, oltre
            a essere funzionale alle esigenze della controinsurrezione, creava le premesse per


            112   V. BIANI, Aviazione coloniale op. cit..
            113   G. ROCHAT, Le guerre italiane in Libia ed in Etiopia dal 1896 al 1939, Treviso, Pagus Edizioni,
               1991, p. 39.


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