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Scenari Sahariani – Libia 1919-1943 “La via itaLiana aLLa guerra neL deserto”


            VELIVOLI E VEICOLI NEL GRANDE GIOCO DEGLI ANNI TRENTA





               Gli anni a cavallo del 1930 sono anni cruciali nella storia dell’aeronautica. Dopo
            il periodo di sostanziale stasi seguito alla fine della Grande Guerra, l’interesse per
            lo sviluppo del mezzo aereo fu prima rilanciato da imprese individuali come quelle
            di Francesco De Pinedo nel 1925 e di Charles Lindbergh nel 1927, poi consolidato
            da imprese collettive come quelle organizzate e volute da Italo Balbo, mentre si
            sviluppava la gara per la conquista dei primati di velocità, di quota e di distanza.
            Tutto questo era la premessa per un cambio di passo della tecnologia aeronautica
            che nell’arco di un decennio avrebbe portato alla definitiva affermazione di una
            nuova formula costruttiva, quella del monoplano ad ala bassa con rivestimento
            lavorante e carrello retrattile. In questo scenario le sempre maggiori prestazioni
            dei velivoli offrivano possibilità fino a quel momento inimmaginabili a quanti,
            spinti  dal  desiderio  di  avventura  e  dall’ansia  della  scoperta,  o  anche  da  più
            prosaiche ragioni di penetrazione economica e politica, cercavano di riempire gli
            ultimi spazi bianchi nelle carte geografiche. Dopo le regioni artiche era venuto
            il momento dell’Asia, dell’America Meridionale, dove nel 1933, nell’Amazzonia
            venezuelana, proprio dall’aereo, lo statunitense Jimmie Angel scoprì la cascata
            più alta del mondo, il Salto Angel, e soprattutto dell’Africa, dove, forse più che
            altrove, le motivazioni scientifiche e politico-economiche si alimentavano con la
            suggestione di città perdute e regni nascosti nella profondità della giungla o del
            deserto.

               Nel deserto del Sahara si sviluppò anche un tipo di esplorazione terrestre che
            sfruttava le possibilità degli autoveicoli, quale valida alternativa al dromedario,
            con finalità geografiche e scientifiche, e nello stesso tempo una forma di turismo
            che interessava una élite di avventurosi appassionati, affascinati dall’immensità
            degli spazi desertici. La relativa tranquillità del deserto egiziano, sotto controllo
            britannico, e l’interesse delle autorità del Cairo per la creazione di una cartografia
            accurata della regione, fecero della capitale egiziana l’epicentro di tali attività,
            tanto di quelle di impronta governativa quanto di quelle a carattere turistico,
            anche se non sempre era facile distinguere le une dalle altre. La passione per il
            deserto era la moda del momento nella buona società cosmopolita del Cairo e di
            Alessandria, e coinvolgeva uomini e donne delle più svariate provenienze. Paolo
            Caccia Dominioni, che in quegli anni viveva e lavorava nella capitale egiziana
            come ingegnere e architetto, fu tra i protagonisti di diverse spedizioni, e in un
            suo celebre libro ha brevemente ricordato quella compiuta nel maggio del 1933,
            da un gruppetto di amici di cui faceva parte – 7 uomini e 5 donne – partiti dal
            Cairo a bordo di 4 Ford A attrezzate per affrontare le distese sabbiose:


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