Page 121 - Scenari Sahariani - Libia 1919-1943. La via italiana alla guerra nel deserto
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Controguerriglia e Controllo del territorio

            punto di sosta lungo l’antica carovaniera per il lago Ciad e l’Africa Centrale,
            era insolitamente frequentata, anche per le possibilità offerte dai nuovi mezzi
            di trasporto, l’automobile e il velivolo. L’Italia, dopo aver occupato nel gennaio
            del 1931 le oasi di Cufra, aveva cominciato a guardare al massiccio del Gebel
            Auenat per consolidare il possesso di quell’angolo di deserto tra Libia, Egitto,
            Sudan Anglo-Egiziano e Africa Equatoriale Francese. Ad alimentare lo spirito
            d’avventura di uomini come Bagnold o Kennedy Shaw contribuivano anche miti
            come quello dell’armata perduta di Cambise o della misteriosa oasi di Zerzura, che
            esercitavano un formidabile richiamo in un’epoca in cui le ricerche archeologiche
            avevano una dimensione fortemente romantica e avventurosa, ben fotografata
            dalla saga cinematografica di Indiana Jones, non a caso collocata temporalmente
            negli  anni  precedenti  allo  scoppio  della  Seconda  guerra  mondiale.  Teatro  di
            queste  ricerche  era  il  “Western  Desert”,  dove  storia  e  leggenda  collocavano
            entrambe queste vicende: l’armata inviata nel 522 a.C. dal re di Persia Cambise a
            impadronirsi dell’oasi di Siwa, con il tempio e i tesori di Giove Ammone, era stata
            inghiottita dal Gran Mare di Sabbia, mentre di Zerzura c’erano solo riferimenti
            favolistici che rimandavano a qualche punto imprecisato delle distese desertiche
            a occidente del Nilo. Escluso il Gran Mare di Sabbia, dove l’esistenza di un’oasi
            era del tutto improbabile, l’attenzione si concentrò sull’altopiano del Gilf Kebir,
            le cui pareti rocciose erano state individuate nel 1926 dal principe Kemal el Din.
               Di Zerzura si sapeva ben poco. Il nome, che secondo le interpretazioni più
            accreditate richiama quello di un uccellino bianco e nero della famiglia degli storni,
            in arabo “zerzur” o “zarzur”, compare per la prima volta in alcuni manoscritti
            arabi del XV secolo, il più famoso dei quali, il Kitab al-Kanuz, o Libro delle Perle
            Nascoste, una sorta di manuale per cacciatori di tesori, la descrive come un luogo
            favoloso, fornendo anche qualche indicazione sulla via per raggiungerla:
                     La città è situata a ovest della cittadella di Es Suri. Lungo il cammino troverai
                  delle palme da dattero, delle vigne e delle sorgenti. Segui lo uadi e risali il suo
                  corso fino alla confluenza di un altro uadi che si dirige verso ovest, tra due colline.
                  Troverai una piccola strada, percorrila e arriverai alla città di Zerzura. È una città
                  bianca come una colomba, ma troverai le sue porte sbarrate. Sopra la porta c’è la
                  scultura in pietra di un uccello; introduci la mano nel suo becco aperto e prendi
                  la chiave che vi è custodita. Apri le porte ed entra nella città: vi troverai dei tesori
                  immensi e il re e la regina che dormono nel loro castello. Ricordati: non avvicinarti
                  a loro per nessun motivo, ma prendi tutto l’oro che troverai. 123
               Tra i più determinati a trovare la bianca città perduta vi furono due profondi
            conoscitori del deserto, il britannico Bagnold, già più volte citato, che nel 1930,




            123   R. CHIARVETTO et al., In volo su Zerzura, Roma, Edizioni Rivista Aeronautica, 2015, p. 367-
               369.


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