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Introduzione e apertura dei lavori                                      21




          (segretamente, a Londra) definito i propri obiettivi strategici: non soltanto com-
          pletare la «redenzione» del territorio nazionale acquisendo Trento e Trieste, ma
          estendere la propria sfera di egemonia sulla «terza sponda» adriatica. Il governo
          Salandra non prese in considerazione i «doveri morali» derivanti dall’appartenen-
          za alla Triplice: da parte dell’impero asburgico, iniziare una guerra per punire la
          Serbia era stato un atto sconsiderato; la situazione era sfuggita di mano ai poli-
          tici e ai militari di Vienna e Berlino, e adesso non restava che trarne vantaggio.
          La neutralità, in prospettiva, poteva non pagare abbastanza: il 9 agosto 1914 il
          ministro degli Esteri marchese di San Giuliano avviò con grande cautela i primi
          contatti informali con il governo britannico per discutere le condizioni di un
          eventuale ingresso italiano nel conflitto dalla parte dell’Intesa. Da quel giorno,
          la strada che avrebbe condotto alla firma del trattato di Londra, il 26 aprile del
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          1915, sarebbe stata lunga e non sempre rettilinea , ma l’Italia non l’avrebbe più
          abbandonata fino a veder riconosciute le proprie legittime aspettative; ovvero,
          secondo altri, fino ad aver venduto al miglior prezzo la propria partecipazione ad
          un conflitto che sembrava avviato verso una sola possibile conclusione, e dunque
          dopo aver scelto il partito più vantaggioso, che le avrebbe permesso di espandere
          la propria sfera d’influenza sull’opposta sponda dell’Adriatico.




          3    I primi mesi del secondo gabinetto Salandra, nel cui ambito Sidney Sonnino aveva sosti-
              tuito il marchese di San Giuliano (morto il 16 ottobre 1914) al ministero degli Esteri, fu-
              rono contraddistinti da un tentativo di soluzione negoziale della crisi interna alla Triplice,
              condotto personalmente dall’ex-cancelliere tedesco von Bülow, sostenitore delle ragioni
              italiane, che tentò senza successo di convincere il governo asburgico a cedere su tutte le
              principali richieste di Roma. Von Bülow, all’inizio del 1915, comunicò al governo di Roma
              presunte offerte austriache, limitate però al Trentino, alla città di Gradisca con la riva de-
              stra dell’Isonzo e alla possibilità di trasformare Trieste in un «porto libero». In realtà, von
              Bülow non aveva alcun titolo per proporre simili concessioni: «non stupisce certo notare
              come Vienna si sentisse oltraggiata dalla pronta offerta tedesca di terre asburgiche. Perché
              Guglielmo II non restituiva l’indipendenza al Belgio e l’Alsazia e la Lorena alla Francia, o
              lasciava qualche brandello di Prussia Orientale e di Slesia alla Russia? Dopo tutto, Alsazia
              e Lorena erano sotto il dominio degli Hohenzollern solo dal 1870, mentre il Trentino era
              asburgico da cinque secoli. Francesco Giuseppe e Conrad von Hötzendorf informarono
              Berlino, senza mezzi termini, che si rifiutavano di sovrintendere alla dissoluzione della
              duplice monarchia» (Herwig, Holger H., The First World War. Germany and Austria-Hun-
              gary 1914-1918, London, Arnold, 1997, pp. 149-150). Quello era il vero motivo per cui a
              Vienna era stata scelta la via della guerra: mostrare ai propri sudditi che il vecchio corpo
              dell’impero poteva ancora essere tenuto in vita nella sua integrità.
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