Page 29 - Adriatico 1848. Ricerca e significato della contrapposizione marittima - Atti 25 settembre 1998
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L'IDEA  DI POTERE  MARmIMO NEL  1848                                    19

           che nei suoi scritti di strategia evidei1zia l'importanza della fase  iniziale del con-
           flitto,  che  deve  servire  alla  flotta  più  forte  per battere  il  nemico  ed  evitare  di
           averlo di fronte  in being, pronto a cogliere l'occasione di incontrare una sola fra-
           zione della  forza  avversaria  per attaccarla.  È quindi  conveniente  "cominciar be-
           ne la  guerra"  per inviare alla  propria  parte messaggi galvanizzanti e  deprimenti
           al  nemico.  Ma  questo,  contrariamente alle  prime  istruzioni  trasmesse  all'Albini,
           comporta coerenza con la massima  di von der Goltz  "fare la guerra significa at-
           taccare",  confermato  in 111ClritimCl  dal  Mahan  quando  scrive:  "nell'abbandonare
           l'offensiva la  marina  abbandona la sfera d'azione  che  le  è  propria,  e  che è an-
           che la  più  efficace" (4).
                In Adriatico  accade che la  piccola squadra austriaca  impegnata nel blocco
           di  Venezia,  all'arrivo  dei  sardi,  cui si  unirono  napoletani e  pontifici,  si  rifugiò
           nel  porto  di  Trieste,  dove  rimase senza accettare  battaglia  uscendo  ne solo  do-
           po l'armistizio Salasco  per rimettere  il  blocco a Venezia.  Analoga condotta ten-
           ne nel  1849.
               Tali  circostanze  avrebbero  impedito  agli  italiani,  se  lo  avessero  avuto  in
           mente,  di  avviare  altre operazioni basate sulla superiorità navale,  "indispensabi-
           le - osserva sempre il  Bernotti - specialmente quando si hanno poche forze  ter-
           restri" (5).  Ma  il navalista  italiano pensava che potere marittimo e potere terrestre
           dovevano  agire  armonicamente  perché,  se  avessero  operato sfasati  nel  tempo,
           la  loro sinergia si sarebbe attenuata o addirittura sarebbe scomparsa. Nel  1848 e
           nel  1849,  la  sola  sinergia  diretta  consistette  nel  trasporto  di  truppe,  quelle  di
           Guglielmo  Pepe sbarcate  ad  Ancona  dalla  Squadra  napoletana  e  quelle  sarde
           reimbarcate a Venezia dall'Albini dopo Custoza e Novara.  Né vi è da farsene me-
           raviglia,  quando  l'azione  della  Marina  era  considerata  marginale  nell'approccio
           generale alla  guerra.  Ma  c'è dell'altro.
                Sono  ben noti i concetti di  unità  d'intento e di  concentrazione degli sforzi,
           che  condizionano  l'efficienza  di  qualsiasi  coalizione  navale.  Quella  delle  flotte
           riunite  italiane era  minata  dalla  cattiva  volontà  del  sovrano  di  Napoli.  Sebbene
           avesse  dovuto concedere la  costituzione e  accettare  di  inviare  in  Adriatico  una
           squadra con 4.000 soldati diretti ai campi di battaglia della valle padana, Ferdinando
           II  non aveva  intenzione  di  combattere veramente.  Il  Randaccio  racconta  che  il
           27  aprile,  alla  partenza  da  Napoli,  il  re  aveva  voluto  intimidire  il contrammira-
           glio  Raffaele  De  Cosa  andando  personalmente  a  bordo  per ricordargli  che era
           vecchio  e  che aveva  famiglia.  Gli  trasmise  inoltre  istruzioni segrete  di  sbarcare
           a Pescara ed a Giulianova le truppe del  Pepe e poi di tornare indietro. A Pescara
           il  De  Cosa  trovò  una  lettera  ciel  governo  provvisorio  di  Venezia  che  chiedeva
           aiuto e riuscì faticosamente ad ottenere da  Napoli l'autorizzazione ad andarvi ed
           a  cooperare coi sardi,  ma  a  condizione di  non molestare il  traffico  mercantile e
           di  non attaccare gli  austriaci.
                Giunto  in Ancona,  il  5 maggio gli  fu  recapitato l'ordine sovrano di ritornare,
           reiterato più volte dopo la caduta del regime costituzionale napoletano, finché 1'11
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