Page 28 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1861-1914) - Atti 24-25 settembre 2002
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           loro una miriade di  corpi, legioni, battaglioni, compagnie, che nascevano e mori-
           vano  un  po' dovunque  nel  centro nord  della  penisola nei  momenti  "caldi" della
           cospirazione politica.
                Il  processo  di  maturazione  della  coscienza  nazionale - a  mio  parere - può
           essere seguito anche attraverso la  storia dei volontari, come appare evidente se si
           mettono  a  confronto  gli  avvenimenti  della  prima  guerra  d'indipendenza  con
           quelli della seconda e della terza.
               Impossibile naturalmente andare in cerca di una analisi di questo genere nelle
           prime  indagini  sui  corpi volontari che  furono  fatte  da  militari  di  carriera quali  il
           generale  Pompilio  Schiavini,  il  colonnello  Cesare  Cesari,  il  generale  Edoardo
           Scala.  Ricerche  di  fondamentale  importanza per orientarsi  nel  mondo assai  com-
           plesso delle formazioni  volontarie che hanno costellato l'Ottocento e il Novecento
           italiano,  ma  rigorosamente circoscritte alle sole vicende militari che avevano visto
           impegnati i corpi volontari.
                Solo successivamente gli  studi storici hanno messo in evidenza le motivazio-
           ni  politiche del  volontarismo, le  profonde differenziazioni,  all'interno del  movi-
           mento  volontario,  tra  le  sue  varie  componenti  e  nei  diversi  momenti;  i  difficili
           rapporti che sono sempre intercorsi tra forze  regolari e irregolari (3).
                Gli scritti del deputato Paulo Fambri, un ex capitano del Genio, esemplifica-
           no  egregiamente  l'atteggiamento  cii  critica  di  ampi  settori  del  mondo  militare e
           politico nei confronti di questo fenomeno.
                Fambri  confutava  il  preteso  contributo  che  sarebbe  derivato  dalla  presenza
           dei  volontari  nelle  guerre  europee  a  partire  dalla  fine  del  Settecento.  Negava
           l'apporto dei  volontari alla vittoria nei  confronti delle  potenze europee coalizzate
           contro la  Francia rivoluzionaria; contestava la fama  dei  volontari spagnoli; deplo-
           rava tutto il  volontarismo italiano salvando solo quello del  1859 perché, afferma-
           va, <<l'aria sana»  dell'esercito sardo aveva fatto rendere al  massimo i volontari.
                Con animo altrettanto poco sereno nel  1848 il  conte Enrico Martini, inviato
           speciale piemontese a Venezia, riferendosi ai volontari presenti nella città lagunare,
           ne parlava come di «oltre dodicimila mascalzoni»  (4).



                (3)  Scrive  Labanca che  «fu  infatti  anche a causa del  tipo  di  eserciti che si  combatterono
           che  si  dovette  se  la  partecipazione  della  società  italiana alle  guerre  per  l'indipendenza  non  fu
           così  ampia  e concorde,  come  invece  si  sarebbe  a  lungo affermato  a  opera  della  mitologia  più
           risorgimentalista. Si  trattò comunque di  una  partecipazione nemmeno tanto ristretta se si  ha da
           prestare fede a certe interpretazioni del moto nazionale giudicato alla stregua di  una guerra civi-
           le.  [ ... j  La  sconfitta  politica  dei  democratici»,  aggiunge,  «insieme  al  conservatorismo  delle  alte
           gerarchie  militari ... spiega  perché sino  al  1861  non  ci  fu  una  pill  grande  partecipazione  della
           società italiana al  moto  militare per l'indipendenza nazionale».  Nicola Labanca, Guerre,  eserciti
           e soldati,  in Guida al/'Italia contemporanea  1861-1997, Milano, Garzanti, 1998, p. 494.
                (4)  Paul  Ginsborg,  Daniele  Manin  e  la  rivoluzione  veneziana  del  1848-49,  Milano,
           Feltrinelli, 1978, p. 270.
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