Page 66 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1861-1914) - Atti 24-25 settembre 2002
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           ma  scarsa  di  dati  attendibili,  che  arriva  a  parlare  di  un  milione  di  morti  (pari  a
           1/6  della  popolazione).  E  pur  se  volutamente  messe  in  sordina,  almeno  fino  a
          questi ultimi anni,  anche queste conseguenze del  brigantaggio contribuirono sto-
          ricamente a scavare un solco tra lo Stato e gli abitanti del Sud, che pure, in nume-
          ro  sempre  crescente  nell'ultimo  secolo  ed  in  maniera  assolutamente  preponde-
          rante negli ultimi decenni, hanno dato allo Stato i suoi "servi tori " , civili e milita-
          ri, specie, tra questi ultimi, quelli a più diretto contatto con la popolazione.
               L'esercito  che,  finito  di  battere  quello  borbonico,  si  trovò  a  presidiare  le
           provincie meridionali  tra  1860 e  1861  era,  da  un  punto di  vista  ordinamentale,
          un esercito in crisi  di  crescita, con l'ampliamento della vecchia e solida base  pie-
           montese attraverso l'immissione dei contingenti lombardi, emiliani e toscani e dei
           numerosi volontari veneti e romani, ampliamento che ancor più si sarebbe esteso,
           nei  mesi immediatamente successivi, con le  annessioni  delle Marche, dell'Umbria
          e del Regno delle Due Sicilie. L'accrescimento del numero delle unità e la delicata
          questione dei  quadri costituivano già  di  per se  stessi  un problema di  non facile  e
           pronta soluzione, che  avrebbe avuto bisogno,  per appianarsi,  di  tempo e di  con-
          dizioni favorevoli, il  che non si  verificò.
               Quest'esercito - soprattutto per quanto riguardava la  fanteria,  che ne costi-
          tuiva il  nerbo e che fu  senz'altro l'arma più impiegata contro il  brigantaggio - era
           un  esercito addestrato  in  vista  del  combattimento in  campo aperto, in  ordine  di
           battaglia,  a  ranghi  serrati  contro  un  nemico  addestrato  alla  stessa  maniera.  La
           fanteria,  su  robusti  battaglioni  di  sei  compagnie  di  150  uomini  ciascuna,  per
           risolvere lo  scontro attaccava  le  posizioni nemiche alla  baionetta in colonna,  più
           raramente in  linea  o  in  "catena",  . Questa  fanteria  e  questa  tattica di  impiego si
           dimostrarono  adatte  nella  primissima  fase  del  brigantaggio,  specie  negli  scontri
          sulla  frontiera pontificia, contro un avversario che, pur se  non ugualmente adde-
          strato, era pronto all'attacco in  formazioni massicce o alla difesa ad oltranza delle
           proprie  posizioni.  Così  a  Tagliacozzo,  a  Sgurgola  ed  a  Bauco gli  scontri  furono
           simili  a  quelli  che  si  verificavano  tra  truppe  regolari.  Non  così  era  avvenuto
           nell'Ascolano e  nel  Teramano dove il  generale  Pinelli  aveva dovuto adottare  ben
           diversi  provvedimenti  per mettere le  sue truppe in  grado di  affrontare la  guerri-
          glia.  In quest'occasione il  generale aveva provveduto a redigere un'apposita istru-
           zione  sulle  misure  da  prendere  per  la  repressione  del  brigantaggio,  misure  che
           furono,  in gran  parte,  poi  riprese  dal  generale  Pallavicini,  all'epoca suo sottopo-
           sto.  Quest'esperienza, però, anche a causa della  sostituzione del  generale, venne,
           per qualche tempo almeno, trascurata, dimenticata. Così vennero dislocate al  Sud
           formazioni  pesanti  che,  per  le  esigenze  della  pubblica  sicurezza,  vennero  frazio-
           nate in guarnigioni e distaccamenti al comando di  ufficiali, certamente coraggiosi
           e  capaci  di  affrontare  un  nemico,  diciamo  così,  tradizionale,  ma  impreparati  a
           fronteggiare la nuova realtà del brigantaggio e,  per di  più, pesantemente vincola-
           ti  dalla  regolamentazione  allora  vigente,  che  non  privilegiava  certo lo spirito  di
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