Page 40 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1915-1943) - Atti 22-24 ottobre 2003
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                In  apparenza lo  storico  genovese  rimane  in  sintonia  con  De  Bono  anche
           quando afferma che «il  senso dell'appartenenza nazionale non fu  [ ... ] un presup-.
           posto dell'intervento né un fattore preventivo di coesione e di  resistenza di  fron-
           te ai  tremendi sacrifici che la guerra doveva comportare, quanto un risultato che
           una parte  delle  classi  dirigenti  si  attendeva  da  essa».  eabisso, che  separa le  due
           interpretazioni, risulta tuttavia evidente non tanto quando Gibelli afferma che la
           guerra fu  «un capitolo decisivo di quella modernizzazione forzata e autoritaria che
           ha dato l'impronta alla storia d'Italia»  (13),  quanto laddove sottolinea che tale mo-
           dernizzazione  «rimase  largamente incompiuta»  e che  «la  stessa nazionalizzazione
           delle masse  tentata dal  fascismo  fu  un' operazione forzata,  coercitiva,  e per molti
           versi  fallimentare,  segno  tra l'altro che  la  guerra non era stata sufficiente a  ren-
           dere compiuta l'identità nazionale»(14).
                Si  tratta di  conclusioni in  buona parte condivisibili,  ma  che esigono comun-
           que una messa a punto, sia  perché si  basano su  una visione eccessivamente ridutti-
           va  del  Risorgimento,  sia  perché  non  rendono  del  tutto  giustizia  all'impatto
           nazionalizzatore, che la Grande Guerra ebbe, nonostante tutto, sugli italiani, sia so-
           prattutto perché  sul  piano metodologico  non  distinguono  nella misura necessaria
           tra la  nazione e lo Stato.  Gibelli è convinto che in Italia «il  processo di  unificazio-
           ne era stato il  frutto  di un'iniziativa fortemente elitaria ed eminentemente dinasti-
           ca»  (15),  si  riconosce cioè senza alcuna sfumatura nell'interpretazione che considera
           il Risorgimento una conquista regia e che quindi ritiene che, essendo rimaste ad es-
           so estranee le  componenti popolari, sia  fallito  nel compito di  unificare l'Italia.
                In  effetti  il  Risorgimento  presenta  caratteri  contradditori,  che  invitano  co-
           munque a non fare di  ogni erba un fascio.  Ad  esempio, la metà dei cinquantami-
           la volontari, che nel 1859 affluirono in Piemonte per combattere contro l'Austria
           nell'armata sarda o nei corpi di  volontari promossi da Garibaldi, era costituita da
           artigiani, operai e addetti ai servizi (16).  Certo il volontariato fu  un fenomeno qua-
           si esclusivamente urbano e per di più sostanzialmente limitato all'Italia centro-set-
           tentrionale (non a caso nel 1906 esistevano nel regno trentotto musei del Risorgimento,
           soltanto  due  dei  quali  erano situati  nel  Mezzogiorno e  nelle  isole) (17),  ma entro



                (13)  A.  Gibelli, La Grande Guerra, cit., p.  12.
                (14)  Ivi,  p.  13.
                (15)  Ivi,  p.  lO.
                (16)  I  dati  sono  ricavati  da  Anna  Maria  Isastia,  Il  volontariato  militare  nel Risorgi-
           mento:  la  lJartecipazione  alla guerra  del  1859,  Roma,  Ufficio  storico  dello  Stato  maggiore
           dell'esercito,  1990, p.  215.
                (17)  Cfr.  Massimo  Baioni, La  «religione  della  patria».  Musei  e istituti del  culto risorgi-
            mentale (1884-1918), Treviso, Pagus,  1994.
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