Page 43 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1915-1943) - Atti 22-24 ottobre 2003
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LA GRANDE GUERRA, ELEMENTO UNIFICATORE DEL POPOLO ITALIANO? 21
camera dei deputati e comunque non erano più, come invece lo erano stati nel
Risorgimento e nei primi decenni del regno d'Italia, una componente autorevole
della classe politica).
Di qui l'avversione di Cadorna, nella misura in cui si sentiva l'interprete
autorizzato dello Stato, per la politica, chiunque la impersonasse; di qui, an-
cora, la scelta di riversare la colpa della disfatta di Caporetto sui soldati poli-
ticizzati (considerava con una preoccupazione mista a disgusto «le enormi
masse ineducate che provenivano dal Paese» e che erano «anzi educate dai par-
titi sovversivi ai sentimenti antimilitaristi») (24); di qui, infine, non tanto il va-
gheggiamento o, meglio, la scontrosa velleità di una dittatura militare accarezzata
da Cadorna, quanto quello che il generale Antonino Di Giorgio avrebbe defi-
nito senza mezzi termini «un vero colpo di Stato», vale a dire il «sovvertimen-
to dei poteri» tra il governo e il comando supremo, il quale, approfittando di
una situazione, che «lo faceva arbitro della esistenza del paese», riuscì fin dai
primi mesi del conflitto a sottrarre «la sua azione ad ogni controllo tecnico ·da
parte del governo» (25).
«In questa specificità», vale a dire nel filo nero della violenza e della re-
pressione, «risiede in gran parte», secondo GibelIi, «la spiegazione del fatto che
la Grande Guerra ebbe in Italia, a dispetto dell'esito vittorioso, conseguenze
tanto destabilizzanti, fino allo sfaldamento del sistema politico su cui il paese si
era retto nel precedente mezzo secolo, al crollo dello Stato liberale e all'avven-
to del fascismo» (26). Ma, se il conflitto realizzò il «compattamento forzoso del-
la nazione», come si spiega che il dopoguerra facesse precipitare il paese nel
caos? In effetti il modello autoritario, che la guerra impose (per tanti aspetti
inevitabilmente) al paese, fu adottato alI'indomani delIa vittoria unicamente da
quelIe minoranze che volevano continuare a rimanere nel solco dell'esperienza
di guerra e quindi si riconoscevano tramite parole-chiave quale camerata, con-
dividevano l'ossessione della «bella morte» e celebravano il mito della giovinezza.
In altre parole, nel primo dopoguerra la nazione non si compattò, ma si divise
a causa della Grande Guerra tra chi tendeva a considerare quest'ultima una pa-
rentesi da lasciarsi alle spalIe, se non da dimenticare, e chi voleva invece conti-
nuare ad operare nel suo solco. Fu la vittoria di questi ultimi che permise il
«compattamento forzoso della nazione».
(24) Cito in Piero Melograni, Storia politica della grande guerra, Roma-Bari, Laterza, 1969,
p.82-83.
(25) Antonino Di Giorgio, Ricordi della Grande Guerra (1915-1918), Palermo, Fondazione
G. Whitaker, 1978, p. 34-35.
(26) A. Gibelli, La Grande Guerra, cit., p. 11.