Page 47 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1915-1943) - Atti 22-24 ottobre 2003
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LA  GRANDE GUERRA,  ELEMENTO  UNIFICATORE  DEL POPOLO ITALIANO?         25


             Prima della Grande Guerra erano attive soltanto  tre associazioni  d'arma, le
        quali  riguardavano due  armi  "speciali", che avevano alle  spalle  una solida tradi-
        zione di mutuo soccorso, i carabinieri e i finanzieri, nonché il  più prestigioso cor-
        po d'élite  della fanteria,  i granatieri di  Sardegna. Tra il  1919 e il  1922 nacquero,
        una dopo l'altra,  le  associazioni  dei  bersaglieri,  degli  alpini,  della  cavalleria,  dei
        marinai, degli artiglieri,  degli  automobilisti e degli arditi.  Meno pronta la  reazio-
        ne di  quegli  ufficiali,  che vollero che  la  loro partecipazione al  conflitto fosse  va-
        lorizzata nell'ambito di  istituzioni riservate unicamente a chi  portava le  spalline:
        l'Istituto del  Nastro Azzurro e l'Unione nazionale ufficiali in congedo d'Italia fu-
        rono fondati non prima, rispettivamente, del 1923 e del 1926. In altre parole gran
        parte  del  mondo  militare  mobilitato,  se  non  creato  (nel  caso  degli  arditi),  dalla
        Grande Guerra si  riversò  in  strutture destinate,  in  primo luogo,  a  perpetuare la
        memoria del  conflitto  nella  prospettiva dei  reduci.  L'unica,  significativa eccezio-
        ne  a  questa  "regola"  appare  costituita  dalla  fanteria,  che  soltanto  nel  1934  riu-
        scirà a costituire un'associazione:  un ritardo che forse  è un indice della passività,
        che continuava a contraddistinguere anche dopo la guerra le  masse in divisa.  Già
        nel corso del conflitto, nel 1917, erano state fondate l'Associazione nazionale mu-
        tilati ed invalidi e l'Associazione nazionale delle  famiglie  dei caduti in guerra; ad
        esse  si  aggiungerà  nel  1919  l'Associazione  nazionale  combattenti,  mentre  i  pri-
        gionieri non furono  ritenuti  degni,  nonostante l'imponenza del fenomeno  (mez-
        zo milione di superstiti ai campi di concentramento), di un riconoscimento sociale (38).
             Gibelli  scrive  giustamente  che  «dalla  guerra,  almeno  nel  caso  italiano,  non
        doveva scaturire nessuna rivoluzione,  e in definitiva neppure nessun allargamen-
        to della democrazia, nessun riscatto delle masse  popolari» e che «a prevalere fu  il
        rafforzamento  dellt';  spinte  antidemocratiche,  autoritarie,  antiparlamentari» (39).
        Tuttavia mi sembra anche di poter cogliere, a monte di queste affermazioni, un'equa-
        zione o, meglio, una petizione di  principio valida fino  ad un certo punto, quella
        tra  masse  e  democrazia.  Si  tratta invece  di  fenomeni  non  sempre positivamente
        correlati e  che  anzi  talvolta  risultano antitetici.  Si  sa,  ad esempio,  che  non sem-
        pre  l'ingresso  di  nuovi  soggetti  nell'arena politica  (storicamente  è  stato  questo,
        con  poche  eccezioni,  il  caso  dei  contadini  e  delle  donne)  finisce  per  favorire  le
        forze politiche, che incarnano o credono di incarnare le  istanze democratiche. Tra
        l'altro, come segnalano anche esperienze recenti  e a noi vicine, le  masse possono


             (38)  Piero  Del  Negro, Nota  introduttiva,  in  Generazioni in  armi,  a  cura  di  Fernando
        Ferrandino, Giuliano Lenci c Giorgio Segato, Padova, Il  Poligrafo,  1995, p.  13-16. Sulla que-
        stione dei  prigionieri di  guerra  italiani cfr.  l'eccellente  ricerca  di  Giovanna Procacci  Soldati
        e prigionieri italiani nella Grande Guerra,  Roma,  Editori  Riuniti,  1993  (II  edizione:  Torino,
        Bollati Boringhieri, 2000).
             (39)  A.  Gibelli, La  Grande  Guerra,  cit.,  p.  47.
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