Page 50 - Le Forze Armate e la nazione italiana (1915-1943) - Atti 22-24 ottobre 2003
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            di  trovare  un  capro espiatorio  della  rotta:  «abbiamo  dovuto  prenderli  da  quella
            piccolissima  borghesia,  che  non ha  nessun  ideale,  se  non il  benessere  materiale:
            figli  di calzolai,  di  portinai ecc.»  (45).
                Inoltre i criteri di  selezione e alcuni dati statistici parziali inducono a ritene-
            re che gli  ufficiali fossero  mediamente più  giovani  dei  soldati che comandavano.
            Il  fardello  della  gestione  della  guerra  fu  fatto  gravare  su  giovani  e  giovanissimi
            con  il  risultato  di  complicare notevolmente i  problemi  del  comando:  come scri-
            veva nel  1916 Di  Giorgio,  «i  nostri  ufficiali  sono nella grande maggioranza stu-
            denti delle classi  più giovani, e mancano del requisito che solo potrebbe in certo
            qual  modo compensare la  deficienza di  istruzione tecnica e di  esperienza:  la ma-
            turità, requisito indispensabile oggi, che nelle  nostre compagnie si  trovano uomi-
            ni che hanno oltrepassato la  trentina»  (46).  Ma forse  fu  più importante quello che
            accadde nel dopoguerra. Non fu facile la restituzione alla vita civile di oltre 150.000
            ufficiali  di  complemento, tra i quali vi  erano molti ragazzi che non avevano  avu-
            to - e che  talvolta all'indomani della  smobilitazione non avevano  ancora - il  di-
            ritto di  possedere la chiave di  casa,  ma che  in tempo di  guerra si  erano trovati a
            comandare centinaia di uomini e a prendere decisioni di notevole gravità.  Ora ri-
            tornavano alle loro case senza avere la possibilità di ricoprire, spesso a causa dell'età,
            ma talvolta anche  dell'origine sociale,  posizioni all'altezza del loro grado milita-
            re  e  dei  sacrifici  compiuti.  Il  fascismo,  ma  anche  la  spinta  rivoluzionaria a  sini-
            stra, si spiegano, in parte, se si  attribuisce la debita importanza a questo fenomeno
            generazionale. La caduta dello Stato liberale fu  anche una «vendetta» dei giovani,
            che avevano dovuto affrontare in prima linea gli  orrori della guerra.
                Quale  è,  in conclusione,  la  risposta  che  è  possibile  dare  alla  domanda se  la
            Grande  Guerra sia  stata effettivamente,  al  di  là  delle  pretese  di  coloro che  l'ave-
            vano  combattuta,  l'elemento  unificato  re  del  popolo  italiano?  Alla  luce  della  car-
            rellata dei problemi, che sono stati discussi in precedenza con l'aiuto della fondamentale
            sintesi di  Gibelli, credo che si  possa avanzare le  seguenti conclusioni:

            1)  alla vigilia  del  conflitto,  pur essendo ancora  incerta per tanti  aspetti,  co-
               me documenta Gibelli, la nazionalizzazione degli italiani, l'azione dello Sta-
               to garantiva comunque dei meccanismi di identificazione più o meno coatta,
               la  cui  efficacia  era  paradossalmente  dimostrata  non  tanto  all'interno  del
               paese  quanto all'estero  (si  sa  infatti che prima  della guerra era soprattut-
               to l'emigrazione con tutti i suoi problemi d'inserimento che costringeva la
               maggioranza degli  italiani  coinvolti  o  travolti  da essa  a  scoprire  di  essere
               - anche - degli  italiani);



                 (45  Cito  in  Picro Mclogl'ani,  Storia  IJOlitica  della grande guen'a,  cit.,  p.  229.
                 (46)  A.  Di  Giorgio,  Ricordi della Gmllde Guerra,  cit.,  p.  18.
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