Page 138 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
P. 138

138                         CISM - ACtA del Convegno nAzIonAle dI StorIA MIlItAre - roM A 10 ottobre 2007


            to dove più che le regole, portavano all’obiettivo da conseguire intuito, determina-
            zione, forza di carattere e spirito militare, al massimo grado, di colui che guidava i
            combattenti: questi dovevano ricevere un senso di una sicurezza nelle qualità e pro-
            fessionalità del “Capo”, in modo da seguirlo, dando tutto quello che potevano; in una
            parola: il comandante doveva e deve avere carisma. E come fu nell’Africa Orientale
            Italiana per Guillet, un secolo prima, il “capo-banda” (o capo-bandito, come alcune
            volte, fu indicato nella stampa a lui contraria) Garibaldi aveva carisma ... e lo aveva
            in abbondanza. Lo avrà anche in territorio italiano, dove poté utilizzare quell’espe-
            rienza militare di conflitti in terra sudamericana, che lo avevano reso ancora più adat-
            to ad un tipo di confronti bellici non convenzionali, quali saranno quelli che dovrà
            affrontare per dare il suo contributo all’unità d’Italia.
               Il suo combattere in terra uruguayana rappresentò in toto,a mio parere, il suo modo
            di essere “soldato”, nel senso più ampio della parola: abile e carismatico comandante,
            dotato di un “geniaccio” per la tattica, ebbe modo di affinare queste sue qualità innate
            proprio in quelle battaglie in Uruguay, dove era a capo di formazioni non omogenee,
            poco addestrate, inferiori per numero alle truppe regolari e dove il suo coraggio “mi-
            litare”, sia con vittorie, sia con insuccessi, affinava il suo addestramento “sul campo”,
            preparandosi alla guerra nella sua terra natale, ove però fu costretto, a volte, a mutare
            il suo atteggiamento da superiori esigenze di carattere politico.
               Da non dimenticare che in Sudamerica fu spesso a capo di giovani volontari,
            spesso senza alcun addestramento militare precedente e che invece, seguendo il suo
            “istinto di battaglia”, portò ad acquisire successi e, qualche volta, a ricevere anche
            sonore sconfitte: ma spesso si impara più da queste che dalle vittorie, anche se le
            sconfitte vengono troppo presto dimenticate.
               Garibaldi era infatti un ottimo comandante di “volontari”, combattenti che desi-
            deravano pugnare spinti da motivi ideologici e convinzioni assai forti, che, unite ad
            una specie di “adorazione” per il loro capo, li portavano a compiere imprese assai
            complesse. Era adatto a operazioni “fuori schema”, quelle che appunto gli portarono
            la celebrità già nel periodo sudamericano.
               Sempre il Grazioli, nel suo studio sopra citato, sintetizza in intuito fulmineo della
            situazione, percezione esatta di ciò che conviene fare, incrollabile fermezza e forza
            di volontà imposta al nemico, le caratteristiche tipiche di una speciale attitudine al
            comando: Garibaldi ne era dotato e poteva quindi ottenere successi e far parlare di sé.
            Aggiungerei anche che i tempi erano propizi per 1’affermazione di una simile per-
            sonalità, lontana da schemi accademici o burocratici, in conflitti che non vedevano
            contrapposti eserciti regolari, perché i volontari rappresentavano forme agglomerate
            di entusiastica adesione a nuovi ideali di libertà e di nazione, pur con nulla o scarsa
            preparazione militare.
               Quelle esperienze sudamericane costituirono però anche 1’humus dei suoi ragio-
   133   134   135   136   137   138   139   140   141   142   143