Page 142 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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               Garibaldi non obbediva agli ordini facilmente, non lo si poteva inquadrare in un
            partito politico; sarebbe stato di certo un ufficiale di “difficile comando” se avesse
            dovuto sottostare ad una gerarchia militare; ragionava quasi esclusivamente con la
            sua mente e con il suo modo di essere “soldato”: se la storia ha tramandato il suo
            famoso obbedisco”, vuol dire che già a quei tempi la personalità complessa dell’E-
            roe dei due Mondi era ben conosciuta e nemmeno i gradi di generale dell’esercito
            piemontese potevano “inquadrarlo” in un sistema politico, deciso altrove e non sui
            campi di battaglia, gli unici che in fondo lo interessavano veramente.
               Infatti, dopo il fallimento della campagna del 1848, con i relativi armistizi che
            il soldato Garibaldi non poteva capire e non capì, inveì contro il re piemontese e si
            lanciò con i suoi volontari contro 1’Austriaco, facendo all’intera situazione quasi una
            sua guerra personale, disubbidendo a Carlo Alberto che gli imponeva di rientrare in
            Piemonte. La sua impresa nel 1848 finì con una ritirata sul territorio svizzero, dopo
            alcune eccellenti manovre, che però non potevano prevalere su un intero Corpo d’ar-
            mata austriaco. Garibaldi non accettava ritirate, non accettava sconfitte, non com-
            prendeva armistizi e trattati di pace, con sacrifici di territori o non raggiungimento
            degli obbiettivi militarmente e politicamente prefissati. Non aveva forse alcuna fidu-
            cia in dialoghi diplomatici, soprattutto quelli che si inserivano durante o a corollario
            di manovre militari, che magari impedivano la fine logica di una operazione che
            aveva visto morti e feriti ed era stata vicina alla vittoria.
               Dopo la sfortunata campagna del 1849, quando ancora una volta aveva disubbidi-
            to ad alcuni ordini e commesso errori tattici, Garibaldi comunque divenne sempre di
            più un eroe popolare, con la sua fama che si diffondeva anche in Europa, proprio per
            la sua eroica resistenza ai francesi.
               Esperienze internazionali ed esperienze italiane: in una situazione in cui non era
            poi così facile viaggiare, soprattutto verso altri continenti, la sua figura fu, per dirla
            con termini moderni, forse poco esatti dal punto di vista storico-scientifico, ma che
            rendono bene l’idea, globalizzata ante litteram e nonostante non vi fosse una “Al
            Jazira” o una “CNN”, a diffonderne le gesta, Garibaldi si impose sempre di più a
            livello internazionale. Contribuì alla fama popolare anche il fatto che gli austriaci
            avevano emanato un proclama contro chiunque avesse aiutato il profugo Garibaldi
            o altro individuo della banda da lui condotta o comandata... Gli austriaci parlavano
            di banda: 1’eterna contrapposizione tra esercito considerato “regolare” e formazioni
            volontarie per resistenza ad un nemico occupante o alla mancanza di libertà. Nel dare
            notizia del suo arrivo a New York il “Times” dell’8 agosto del 1850 scriveva del ce-
            lebre capo partigiano, con dettagli sulla sua vita privata e sulle sue fortune-sfortune
            militari. Questo modo di chiamarlo lo avvicina molto ad altre grandi figure di patrioti
            che soprattutto durante il periodo della Resistenza si sono imposte alla stima e ammi-
            razione nei quadri della storia: e, considerato il tempo in cui ha vissuto, effettivamen-
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