Page 32 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            è un’esperienza impareggiabile in fatto di tecnica, di attitudine al fuoco, conoscenza
            degli uomini e delle cose, maturazione interiore. Ne esce una figura di uomo disin-
            teressato, incorruttibile, generoso, insofferente al potere dell’ideologia, amante del
            concetto ideale.
               Ma che cosa ha insegnato a Garibaldi la tecnica della guerriglia nel periodo sud
            americano?
               Egli ha elaborato la tecnica di guerriglia che noi oggi conosciamo come “mordi e
            fuggi”; cioè piccoli corpi che attaccano all’improvviso e che possono rispondere sia
            ad un concetto tattico sia ad un concetto strategico. Oggi noi chiamiamo queste unity
            “pattuglie Random”. Questa tecnica della piccola unity che attacca e rende difficile lo
            sviluppo di una battaglia è stata ripresa dal tenente Rommel a Caporetto.
               Anche il Generale Giap nella guerra del Vietnam contro gli Stati Uniti si è rifatto
            alle tecniche di guerriglia ipotizzate dal Generale Garibaldi, che in sostanza tendono
            a rendere insicuro un territorio. Ma che cosa trasse dal punto di vista morale Garibal-
            di, per il suo costrutto umano, dal periodo sudamericano? Egli maturò la convinzione
            che il realismo sostenuto dagli ideali dà i suoi frutti, 1’ideologia no. È un concetto
            universale.
               Garibaldi, quindi, decise di credere nella monarchia sabauda per unificare l’Italia
            e iniziò un rapporto molto stretto con Vittorio Emanuele II, che riconosceva leale.
            Disdegnò il rapporto politico con Cavour. Mazzini e Carlo Pisacane contestarono
            questa scelta e non la condivisero mai. Siamo nel concetto strategico di Garibaldi,
            che considerava indispensabile che per 1’unità d’Italia fosse necessaria una guida
            unica, affermando che in guerra l’unicità di comando è una realtà oggettiva o del
            successo o dell’onore nella sconfitta.
               Mazzini, che contestava nella sostanza la scelta sabauda di Garibaldi, riconosceva
            però la forza del realismo della stessa. Carlo Pisacane, invece, si dissociò totalmente
            dalla scelta, mantenendosi fedele ai principi ideali rivoluzionari come forze motrici
            verso l’autodeterminazione, a favore dell’unità d’Italia, dei popoli stanziati sul terri-
            torio geografico italiano.
               Quindi Garibaldi accetta un realismo che gli procura l’incomprensione di coloro
            che condividevano le sue scelte ideali, primo fra tutti Mazzini. Il contrasto con Ca-
            vour è pesante. Cavour non ha mai pensato all’unità d’Italia così come poi si è deter-
            minata; lui ha pensato ad un unity politica che dovesse essere sviluppata in un afflato
            di popoli, ricercato e raggiunto sotto la guida dei Savoia.
               Invece Garibaldi era per 1’autodeterminazione delle genti. Sviluppò, così, il con-
            cetto delle annessioni dei vari stati preunitari guidati da uno spirito ideale, quello
            garibaldino, e da un carisma riconosciuto nel leader Vittorio Emanuele II.
               Un problema molto particolare rimaneva la questione di Roma Capitale e quindi
            dei rapporti con il Papa ed il mondo cattolico in generale. Spesso si dice che Garibal-
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