Page 33 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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            Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale

            di era antipapale, ciò non è vero; Garibaldi era un italiano che voleva l’unità d’Italia
            e che concepiva una libera Chiesa in un libero Stato. La Chiesa non poteva avere
            un suo Stato a scapito dell’unità d’Italia con Roma Capitale. Questo è un concetto
            strategico.
               Ecco allora che comincia a delinearsi la celeberrima “epopea dei Mille”. La vo-
            lontà degli inglesi di destabilizzare o, quanto meno, di diminuire la capacità della
            Francia di influire sulla politica del Mediterraneo, ha determinato lo sbarco dei gari-
            baldini in Sicilia. Sbarcarono a Marsala, si introdussero verso Salemi e affrontarono
            la battaglia di Calatafimi. È stato il primo grosso successo. Nino Bixio, impaurito
            dalle forze preponderanti dei Borboni, voleva scappare, ma Garibaldi gli disse: “qui,
            o si fa l’Italia o si muore”. Ecco emergere il conduttore di bande, l’eroismo che viene
            inculcato nei gregari e fa vincere le battaglie. Garibaldi, un conduttore di bande che
            poteva contare, grazie all’opera di Francesco Crispi, che lo aveva seguito assieme
            alla moglie sulla stabilizzazione del fronte interno. Questo secondo i canoni di qual-
            siasi concetto strategico.
               Garibaldi portava l’idea di libertà, di autodeterminazione soggettiva, di proiezio-
            ne di se stessi nell’altro, secondo teorie di carità; sono teorie che vanno contro l’op-
            pressione dei popoli. A Bronte i contadini si sollevarono e dissero: “la terra va data ai
            contadini”. Garibaldi si rese conto che i grandi proprietari latifondisti (i gattopardi)
            non gli avrebbero garantito stabile il fronte interno e mandò Nino Bixio per sedare
            la rivolta. Questi non fece altro che celebrare processi sommari grazie ai quali fucilò
            dieci persone, tra cui un povero demente. Lo ho voluto approfondire, questo aspetto,
            con il sindaco di Bronte. Lui dice che nel suo paese ancora si chiedono perché sia
            avvenuto questo. La logica è che in guerra un condottiero non si può permettere di
            avere un fronte interno non stabile.
               Poi arrivano la battaglia del Volturno, l’incontro di Teano, e inizia la terza fase
            della vita di Garibaldi: il periodo post unitario. Inizialmente essa è permeata dall’amo-
            re del Comandante per i suoi uomini. Garibaldi si è battuto per inserire nel neonato
            esercito italiano tutti i volontari che avevano partecipato “alla campagna dei Mille”,
            voleva assicurare un futuro alle persone che serenamente si erano battute per lui per
            un ideale. E qui arriva il problema Roma Capitale. Abbiamo detto che nella concezio-
            ne di Garibaldi non c’era antipapalismo, c’era la convinzione di Patria sovrana con
            una Chiesa libera: la pluriconfessionalità. Quello che cerchiamo di gestire oggi in un
            concetto di inter-relazione nel rispetto reciproco. Roma capitale d’Italia. La capitale
            da Torino è andata a Firenze e quindi dopo l’epopea garibaldina con i fatti d’Aspro-
            monte, di Mentana, Villa Glori e tanti eroismi a Roma.
               Questa è la fase della non strategia perché la presa di Roma non era correlata ad
            un concetto strategico. Essa avvenne dopo la battaglia di Sedan, rispondendo ad un
            concetto politico di stabilizzazione dell’Europa, propugnato dal Cancelliere tedesco
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