Page 56 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
P. 56

56                          CISM - ACtA del Convegno nAzIonAle dI StorIA MIlItAre - roM A 10 ottobre 2007


            Ho potuto convincermi che egli sarebbe stato in questo critico momento un soggetto
            pericolosissimo per la pubblica tranquillità. Egli parlava di vicina repubblica, egli te-
            neva verso di me un contegno così provocante che fui più volte costretto a chiamarlo
            a moderazione con parole energiche.
               Mi fu detto che nell’atto in cui io entrava, a Figline, nel vagone ov’era il Generale
            egli impugnò ed inarcò un revolver come in atto di ferirmi alle spalle, ma che l’attitu-
            dine dei carabinieri, i quali erano rimpetto, che inastarono la baionetta nelle carabine
            con risolutezza, lo trattenne dall’eseguire quel codardo proposito.
               Vedendo che egli sempre più imbaldanziva a sfogare la sua bile con invettive nelle
            quali non era risparmiato né Re né Governo, e che egli inaspriva co’ suoi suggeri-
            menti il Generale, trovandosi egli ancora a letto nella locanda della Croce di Malta
            in Spezia, presente il capitano comandante la compagnia sig. Davico, gli dichiarai
            formalmente che se non mutava contegno subito lo avrei allontanato dal Generale
            benché mi dolesse il farlo, sapendo come ei lo desiderasse vicino, e che lo avrei fatto
            trasportare in prigione su di un legno da guerra fino a ricevere istruzioni dal Gover-
            no.
               La dichiarazione fece tutto l’effetto che io poteva desiderare, egli si tacque, ora
            pare tutto mansuefatto e pieno di riguardi per la mia persona.
               Pongo fine a questo lungo rapporto che mi manca il tempo di trasmettere al sig.
            Ministro dell’interno, pregando V. S. ill.ma di dargliene prontamente comunicazio-
            ne, se così crede opportuno”.
               Se l’arresto del Generale aveva potuto compiersi senza incidenti, le cose andarono
            ben diversamente quando il paese fu a conoscenza di quella nuova detenzione.
               Ripetute dimostrazioni si ebbero allora a Torino ed a Milano con carattere sedi-
            zioso e spiccatamente repubblicano e la stampa si compiacque di riprodurre, infioran-
            dola di commenti ostili al Governo, una “protesta” a firma Crispi, Guerzoni, Fabrizi,
            Mario ed altri, comparsa sulla “Riforma” del 6 novembre 1867, nonché una “lettera
            aperta agli amici”, redatta dall’avv. Crispi per far conoscere le traversie del Generale
            dal suo ingresso nel regno a Passo Corese, fino all’arresto a Figline Valdarno.
               Sul trattamento usato al Generale prigioniero la stampa antiministeriale si sfogava
            diffondendo notizie tendenziose e insussistenti, affermando tra l’altro che al Gene-
            rale era stato vietato di uscire dalle sue stanze per prendere anche una sola boccata
            d’aria.
               In verità il Governo aveva dovuto procedere all’arresto di Garibaldi, in quella
            circostanza, per necessità imprescindibile, e una volta conseguito l’intento nessuna
            intenzione esso aveva di usare verso il Generale inutili rigori.
               Gli ordini impartiti al Camosso furono quindi di deferenza e di moderazione e il
            ten. colonnello ben seppe corrispondere alla fiducia che in lui era stata riposta.
               Molto significative sono le due lettere, che riproduciamo a termine del capitolo,
   51   52   53   54   55   56   57   58   59   60   61