Page 53 - Giuseppe Garibaldi. L'Uomo. Il Condottiero. Il Generale - Atti 10 ottobre 2007
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Giuseppe Garibaldi. l ’ uom o, il condottiero, il Generale
che nessuna persona estranea alla famiglia di lui poteva seguitarlo e mi rivolsi al sig.
deputato Crispi per pregarlo a discendere e partire poi col convoglio ordinario delle
ore otto e venticinque. Il Generale ed il Crispi protestarono altamente e con un calore
che qualche volta fece loro dimenticare, al sig. Generale specialmente, che parlavano
ad un ufficiale superiore incaricato dal Governo d’una missione che doveva assoluta-
mente compiere, la quale non poteva né discutere né variare. Volevano assolutamente
che io telegrafassi a S. E. il Presidente dei Ministri, che attendessi riscontri di lui per
proseguire a Firenze. Io tenni fermo protestando che gli ordini precisi ricevuti non
mi permettevano di telegrafare né di attendere un riscontro. Pregai il sig. Generale ad
indicarmi le persone di sua famiglia che desiderava lo seguissero; esso mi indicò il
sig. Canzio, suo genero, il sig. Basso, che gli serve di sostegno, che lo veste, che gli
presta molti servizi, cui lo rendono indispensabile; due servi, buoni giovani, che mi
furono dichiarati incapaci di qualunque cosa che potesse nuocere alla buona custodia
del Generale. Ciò succedeva mentre il convoglio giunto, mutato binario, si disponeva
a venire a mettersi in coda al nostro già collocato e quasi pronto alla partenza.
In quell’atto il sig. Generale s’alzò d’un tratto e mi disse, facendomi un atto, che
indicava le doglie della vescica, che aveva urgentissimo bisogno di fare un po’ d’ac-
qua che voleva discendere un momento, lo pregai a sospendere, assicurandolo che a
poca distanza si sarebbe fermato il convoglio, ma egli con un brusco piglio mi disse:
“bisogna lasciarmi almeno orinare” ed aiutato dal Crispi e da altri si fece discendere
dal vagone, benché tutto rannuvolato, quando ad un tratto fermatosi, gridò che non ri-
entrerebbe nel vagone se non in pezzi; io lo scongiurai a non obbliare che era disceso
per mia condiscenza e perché il suo gesto m’aveva indicato come una tacita promessa
di rimettersi a mia disposizione; continuò a protestare ed entrò attorniato da’ suoi, che
furiosamente eransi cacciati tra carabinieri e bersaglieri, nella sala d’aspetto della sta-
zione ove sedutosi mostrò desiderio di ristorarsi d’un po’ di brodo, attrito, come ben
si vedeva, dalla fatica e da un forte raffreddore che gli impediva il libero respiro e la
parola. Il brodo gli fu portato, e gli ripetei nei modi più urbani e convenevoli la pre-
ghiera, l’intimazione di restituirsi al vagone, che non avrebbe dovuto abbandonare;
egli vieppiù s’ostinava a protestare ed a dichiarare che mal si sarebbe di là mosso se
non veniva con violenza trasportato al vagone, ed io a ripetere le preghiere, le esorta-
zioni impegnando e pregando il Crispi, i figli di lui a persuaderlo, ed a risparmiarmi
il disgustoso estremo di farlo trasportare nel vagone. Ogni mezzo fu inutile; questa
dolorosa scena durò ben tre ore.
Finalmente scorgendo inutile ogni mezzo conciliativo, le persuasioni, protestando
al sig. Crispi, che diceva esser lui sciente che il Governo volesse fare uno scandalo,
che anzi io aveva ordine preciso di usare i modi più convenevoli e che non eravamo
noi quelli che andavamo a commettere una violenza, ma ben esso il Generale che ce
la imponeva, obbligandoci ad usare la forza, per adempiere un indeclinabile dovere,