Page 158 - 150° Anniversario II Guerra d'Indipendenza - Atti 5-6 novembre 2009
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158          150° anniversario della ii Guerra d’indipendenza. atti del conveGno



                 avevano Firenze dalla pace di Praga del 1738. Anche  i Borbone di Parma e
                 gli Asburgo-Este di Modena erano al potere da metà Settecento. Il governo
                 temporale pontificio, a parte la leggendaria donazione di Costantino, contava
                 un millennio di storia. Era stato abbattuto tre volte nel mezzo secolo tra 1798
                 e 1849 ma ogni volta era  risorto, più forte di prima perché le sue sorti erano
                 sempre meno una questione italiana  e sempre più di politica europea e  di
                 orizzonti metapolitici.
                   La Casa di Savoia aveva accelerato la sua italianizzazione dalla rinuncia
                 di Carlo Alberto al titolo di Vicario dell’Impero e la ricerca dei legami stori-
                 ci fra la Casa e l’Italia.
                   Dal gennaio 1859 alla chetichella affluirono in Piemonte “volontari” da
                 varie regioni  italiane e persino  da altri Paesi, ove vivevano in esilio e ristret-
                 tezze dopo la prima guerra d’indipendenza, cospirazioni, condanne. Arrivarono
                 a drappelli, poche decine alla volta, poi qualche centinaio. Il governo sapeva,
                 anzi organizzava, ma  ostentava di non vedere. Parecchi  volontari  avevano
                 alle spalle le Repubbliche di Roma e di Venezia (1849) e il fallimento di
                 liberali e democratici in Toscana e nel regno delle Due Sicilie, a Modena e a
                 Parma. Tutti serbavano memoria della sequenza di cospirazioni e insurrezio-
                 ni degli anni 1852-57, sino alla spedizione di Carlo Pisacane, costate costata
                 patiboli, carcere, condanne all’esilio.
                   Tra persone concrete, come erano il re Vittorio Emanuele II, Cavour e
                 Garibaldi,  le  intese  sotterranee    divennero  più  precise  dal  1°  marzo  1859
                 quando l’Eroe dei Due Mondi lasciò Caprera e sbarcò a Genova. Cavour, che
                 era perfettamente informato di quanto avveniva, ufficialmente deplorò il suo
                 arrivo sulla terraferma, ma preparò un suo incontro segreto con il Re.
                   Tra le migliaia di volontari i più furono incorporati nell’Esercito regolare.
                 I meno preparati vennero concentrati in  “depositi”. Consapevole del compi-
                 to affidatogli, Garibaldi andò al sodo. Indicò i nomi dei comandanti. A Cuneo
                 volle Enrico Cosenz, antico allievo della Nunziatella, e a Savigliano Giacomo
                 Medici, eroe della Repubblica Romana. Gli altri ufficiali superiori, tutti scel-
                 ti da lui, erano uomini esperti e decisi  a battersi sotto l’insegna “Italia e
                 Vittorio Emanuele”. Il comandante li conosceva uno a uno. Garantiva  della
                 loro lealtà nei confronti della Corona e al tempo stesso sapeva  di potersene
                 fidare. La partita  era complessa perché l’ultima prova di fuoco dei garibaldi-
                 ni era stata contro le armi di quel Napoleone III che da principe-presidente
                 nel 1849 aveva diroccato la Repubblica Romana e ora accorreva in aiuto del
                 Regno di Sardegna.  Occorreva molta fermezza e alto senso di patriottismo
                 per mettere  tra parentesi un passato così  recente  e doloroso.  La  decisione
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