Page 162 - 150° Anniversario II Guerra d'Indipendenza - Atti 5-6 novembre 2009
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162 150° anniversario della ii Guerra d’indipendenza. atti del conveGno
rere in sostegno dell’alleato. E lo fece con dispiegamento di mezzi che sor-
prese il nemico, a conferma dell’efficienza raggiunta dall’esercito francese.
L’intervento in Italia era, voleva essere, un mònito per l’Europa: la sua attua-
zione palesò che non era affatto improvvisato. Presupponeva infatti un lungo
studio della integrazione fra trasporto in nave e in ferrovia, tra lunghe marce
e pronta preparazione a battaglie campali, con ampio impiego di artiglieria.
In tale contesto, i quattromila volontari agli ordini di Garibaldi mostraro-
no che tutta l’Italia era a fianco del re di Sardegna. La realtà, come si è
veduto, era un’altra: ma il sogno della Società Nazionale fu spacciato come
disegno provvidenziale e divenne realtà.
Alla vigilia della guerra Antonio Panizzi scrisse che l’Italia non aveva
bisogno di statue ma di fucili. Poesia e oratoria dovevano tradursi in fatti.
L’armistizio di Villafranca fece da spartiacque tra due stagioni dell’azio-
ne del generale Garibaldi.
Agenti del governo di Torino accelerarono le cospirazioni e poi dettero
il via alle insurrezioni liberali da Piacenza alla Toscana, da Modena a
Perugia... : Ducati Padani, Granducato di Toscana, Stato Pontificio, registra-
rono un’esplosione di entusiasmi patriottici. Quasi inerte rimase il Regno
delle Due Sicilie, i cui liberali erano stati spazzati via nel 1848-49, incarcera-
ti, condannati all’esilio. Ma l’anno seguente, con nuove insurrezioni e la
spedizione dei Mille, si vide che il fuoco covava sotto le ceneri.
La fase decisiva del processo di unificazione ebbe protagonista Garibaldi
in un quadro politico del tutto diverso dal marzo-luglio 1859. A Cavour
subentrarono Alfonso La Marmora e Urbano Rattazzi. Secondo un’opinione
diffusa, questi era il garante della Sinistra e quindi del volontariato.
All’opposto, il ministro dell’Interno intralciò l’opera di Garibaldi nel timore
che compromettesse il governo del re agli occhi dell’Europa mentre erano in
corso i preliminari di pace e il Piemonte rischiava di rimanere solo di fronte
all’Impero d’Austria come nel marzo 1849. A giudizio di Giuseppe La Farina
il generale era convinto di contare comunque sul sostegno personale di
Vittorio Emanuele II: una sintonia non scritta ma intuita, immaginata, sogna-
ta, che lo induceva ad agire senza autorizzazione alcuna, anzi nella convin-
zione che il silenzio fosse assenso. Perciò Marco Minghetti sollecitava l’in-
tervento di Vittorio Emanuele II per frenarlo, anche perché, egli osservò a
malincuore, Garibaldi era “popolarissimo”, proprio perché (come se ne scri-
veva all’estero) era il “diavolo rosso”, il “guerriero Barbarico”, una sorta di
Frà Diavolo al servizio della rivoluzione anziché della Santa Fede, ma pari-
menti capace di trascinare folle incontenibili.
Tanti si proclamavano garibaldini senza conoscerne in alcun modo i pro-