Page 167 - 150° Anniversario II Guerra d'Indipendenza - Atti 5-6 novembre 2009
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analisi della battaGlia di solferino sul piano della tecnoloGia militare  167



                   una gittata di oltre 1500 metri; una elevatissima precisione ed una forza di
                   penetrazione formidabile. Un fucile a canna rigata dell’Esercito degli Stati
                   Uniti, sperimentato in quei giorni, si dimostrò capace di perforare otto tavole
                   di abete dello spessore di un pollice l’una (cioè in totale oltre 20 centimetri).
                   Nessuno forse se ne rese conto in quei momenti, ma il nuovo fucile ad anima
                   rigata assicurava al fuoco nemico una precisione micidiale per la profondità di
                   un chilometro lungo tutto il fronte dei battaglioni; e lo si vide bene a Solferino
                   dove né i francesi, né gli austriaci (né, a San Martino, i piemontesi) furono
                   in grado di inscenare un vero scontro alla baionetta, falciati entrambi come
                   furono dal fuoco infernale della fucileria prima di essere arrivati a contatto.
                   Per questo Solferino fini sostanzialmente con uno stallo; ed è probabilmente
                   per questo, non già per l’eccesso di perdite umane che a Solferino furono
                   relativamente contenute: i morti ed i feriti dei tre eserciti, francese, austriaco
                   e piemontese, non eccedettero il 10% delle forze impegnate (mentre nella
                   successiva Guerra civile americana essi sarebbero saliti al 20% della battaglia di
                   Pittsburg Landing ed al terribile 27% di Chickamauga), ma per l’impossibilità
                   di realizzare una di quelle vittorie sfolgoranti che avevano fatto la gloria del
                   suo grande avo. Nessuno probabilmente se ne era reso conto: ma ormai, con
                   l’avvento del fucile ad anima rigata, la difesa aveva prevalso sull’attacco.
                   Sarebbe seguita la trincea; e la situazione sarebbe rimasta immutata fino al
                   Secondo conflitto mondiale.
                      Ma  vi  era  di  più.  Un’altra  impressionante  novità  apparve  sui  campi  di
                   Solferino: il canon rayé, ossia il cannone a canna rigata. Per la verità il primo
                   ad inventare un pezzo del genere era stato un piemontese, il generale Cavalli,
                   nel 1846. Dapprima l’Esercito sardo aveva adottato la bocca da fuoco: ma
                   poiché il Cavalli aveva voluto realizzare nello stesso tempo la retrocarica ed
                   anche qui la chiusura era del tutto imperfetta, lo si era scartato. I francesi però
                   si erano contentati della bocca da fuoco da 6 pollici ad avancarica, capace (era
                   questa la grande innovazione!) di sparare proiettili cilindro-ogivali dotati di
                   un movimento rotatorio attorno al proprio asse che li stabilizzava e li rendeva
                   di una precisione, per i tempi, micidiale. Non solo: ma la rigatura consentiva
                   gittate di diversi chilometri (fino a quattro) in modo da battere le fanterie
                   nemiche prima ancora che muovessero all’attacco. Inoltre la forma cilindro-
                   ogivale e la sicurezza della traiettoria consentivano finalmente di scartare la
                   palla “piena” e di lanciare granate esplodenti mediante percussione all’impatto.
                   Certo, l’esplosivo usato era ancora la vecchia polvere nera; ci sarebbero voluti
                   anni  perché  apparissero  gli  esplosivi  infumi,  a  base  di  nitroglicerina  o  di
                   nitrocellulosa; ma un passo enorme era stato fatto.
                      Da dopo Solferino la guerra non sarebbe più stata la medesima. Finite
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