Page 163 - 150° Anniversario II Guerra d'Indipendenza - Atti 5-6 novembre 2009
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il Gen. Giuseppe Garibaldi dal reGno di sardeGna verso l’unità d’italia 163
grammi. Contrariamente a quanto i più gli attribuivano o se ne attendevano,
Garibaldi comunque non si prefisse un ruolo politico in senso alto e forte.
Non aveva contatti con governi né diplomazia. Puntò invece ad allestire uno
strumento militare da mettere in campo per muovere la morta gora dell’armi-
stizio e delle sue possibili conseguenze: il rinvio sine die della questione
italiana.
Nella seconda metà del 1859 Garibaldi si trovò dunque lontano da Cavour,
isolato a Leri, ma anche da Rattazzi, che il Gran Conte giudicava un baloss
ma (come mostra il suo epistolario) ebbe il merito di costruire lo Stato prima
ancora che il regno d’Italia prendesse forma: con la lungimiranza dello stati-
sta di rango. Bastino, a conferma, la “legge Casati” sulla scuola, che resse
sino alla riforma Gentile del 1923, e a quella su province e comuni, che,
appena ritoccata nel 1865, a sua volta fece da base per Francesco Crispi
(1889) e Giolitti.
I mesi dall’armistizio di Villafranca alla pace di Zurigo e al ritorno di
Cavour al governo furono difficili per tutti. A Corio il 26 novembre Cavour
scrisse che non voleva vedere Ludovico Frapolli, “ex mazziniano, mezzo
convertito...”. Non voleva torbidi. Ma al tempo stesso sentiva che per fare
occorrevano mezzi e metodi non del tutto lineari. Ne convenne Carlo Luigi
Farini che il 31 dicembre auspicava che l’anno venturo consentisse di osare
e di fare quanto il 1859 aveva lasciato a metà.
Non sorprende dunque la contraddittorietà dei giudizi espressi da Cavour
su Garibaldi, talvolta bollato come autore di “turpe intrigo”, altra volta rico-
nosciuto come “una delle maggiori forze di cui l’Italia possa valersi”. Né
sorprende che il re abbia voluto ripetutamente l’incontro diretto con il gene-
rale: il 28 ottobre e il 28 dicembre 1859, quando gli venne prospettata la
carica di aiutante di campo. Il corso degli eventi mostrò il primato del ruolo
di Garibaldi da generale del regno di Sardegna alla vittoria del Volturno del
2 ottobre 1860: opera di un capitano di comprovato talento.
Negli anni seguenti emerse però evidente l’equivoco sul quale reggeva il
rapporto tra il generale e il sovrano: una somma di silenzi, di sottintesi, di
scommesse.
Garibaldi credeva che il re credesse ch’egli credeva di agire d’intesa con
lui. A sua volta Vittorio Emanuele credeva che Garibaldi credesse di essere
creduto. Ma sino a quale limite poteva giungere la scommessa? Lo si vide
nell’agosto-ottobre 1860 quando il governo di Torino ottenne il “via libera”
di Napoleone III ad attraversare lo Stato pontificio per imbrigliare Garibaldi
(“Fate, ma fate in fretta”) e dal canto suo il Dittatore arrivò a Napoli senza il
benestare di Cavour sibbene d’intesa con uno tra i protagonisti tuttora più