Page 159 - 150° Anniversario II Guerra d'Indipendenza - Atti 5-6 novembre 2009
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il Gen. Giuseppe Garibaldi dal reGno di sardeGna verso l’unità d’italia  159



                   assunta da Garibaldi, a nome non solo proprio ma degli ufficiali del corpo in
                   allestimento ai suoi ordini, ne conferma le qualità di uomo politico, capace di
                   scelte difficili nelle ore storiche.
                      Il 17 marzo 1859 fu dunque il punto di arrivo di un lungo cammino. Senza
                   ripercorrere la formazione politico-militare del Generale, accuratamente rico-
                   struita da Romano Ugolini in studi esemplari e definitivi, né la sua opera  da
                   quando lasciò Montevideo per intervenire nella prima guerra d’indipendenza,
                   va ricordato che quando offrì a Pio IX la sua spada nella famosa lettera al
                   nunzio apostolico mons. Bedini e quando chiese a Carlo Alberto di accoglier-
                   lo con i suoi uomini per la guerra contro l’Austria, Garibaldi non prevedeva
                   Custoza , l’armistizio Salasco, la stasi, la costituente romana, il passaggio di
                   Pio IX a Gaeta.... Insomma, il Garibaldi  della Repubblica Romana non è
                   quello del 1847-48: è frutto degli eventi, del suo modo di vivere tra i marosi
                   della storia per trarne forza e proseguire la rotta in una direzione che, libero
                   da pretese ideologiche e da tentazioni profetiche, non pretese mai di decidere
                   da sé.
                      Rientrato nel regno di Sardegna dal secondo esilio,  dalla metà degli Anni
                   Cinquanta Garibaldi aveva compito l’ pzione  definitiva. Dinnanzi al falli-
                   mento dell’insurrezione di Milano del 1853 (quando anche Mazzini dubitò
                   una volta di più della validità dei propri metodi e parve rinunciare definitiva-
                   mente  a  cospirazioni  e  a  insurrezioni  quali  detonatori  per  la    mai  matura
                   rivoluzione repubblicana), il generale vide con chiarezza che il programma
                   italiano era imprescindibile da Vittorio Emanuele II, “un re ambizioso”, e dai
                   50.000 uomini dell’armata sarda,  che giorno per giorno Alfonso La Marmora
                   stava preparando in vista delle prove future. Nel 1855 ringraziò il ministro
                   della Guerra per essere stato reintegrato nella Marina mercantile sarda con
                   patente di capitano prima classe.  A Lorenzo Valerio raccomandò di far cono-
                   scere al re di essere sempre pronto a fare qualche cosa per la “misera patria”.
                   Il 28 giugno 1857 in una lettera a Cavour si dissociò dalle “cose mazzine-
                   sche”.  A  conferma  della  svolta  Garibaldi  aderì  alla  Società  Nazionale    di
                   Daniele Manin, Giorgio Pallavicino Trivulzio, Giuseppe La Farina e altri che
                   sentiva lontani e che non lo assecondarono mai, ma ne condivise senza riser-
                   ve il programma  “Italia e Vittorio Emanuele”.
                      Perciò nel 1858 Cavour pensò a lui per un colpo di mano a Massa per
                   provocare  l’intervento  militare  asburgico  e  giustificare  il  soccorso  di
                   Napoleone III: un’ impresa di portata militare e politica modesta ma suffi-
                   ciente a tener desta l’attenzione europea sui casi d’Italia e a provare con i fatti
                   che la penisola non sarebbe stata quieta sino a quando non si fosse allentato
                   il dominio asburgico. Agli occhi di Cavour, Garibaldi era “una risorsa”, giac-
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