Page 117 - Il Risorgimento e l'Europa - Attori e protagonisti dell’Unità d’Italia nel 150° anniversario - Atti 9-10 novembre 2010
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NapoleoNe III e l’ItalIa dall’IdealIsmo al RealIsmo polItIco        117


               re una campagna vittoriosa; certi mettono l’accento sul disgusto che provò sul
               campo di battaglia alla visione del carnaio: 40.000 morti, dei quali 17.500
               Francesi, in totale, senza contare i feriti agonizzanti. Napoleone III non aveva
               il temperamento d’un militare e non possedeva le qualità militari di suo zio.
                  In più, aveva orrore del sangue e non era, come Napoleone I, indifferente
               alle sofferenze degli uomini. Resta il fatto che questa giustificazione all’arre-
               sto delle ostilità rimane insufficiente. In realtà, l’Imperatore doveva affronta-
               re dei problemi più concreti: la minaccia prussiana pesava sulla frontiera del
               Paese e la probabilità di dover affrontare militarmente la Prussia era lungi
               dall’essere trascurabile. Inoltre il proseguimento dell’offensiva contro l’eser-
               cito austriaco non sarebbe stato realizzabile che alla condizione di rinforzare
               gli effettivi presenti in luglio, questo era complicato e costoso, malgrado lo
               sbarco del principe Gerolamo e di 25.000 uomini nell’Italia centrale. In real-
               tà, Napoleone III non osava affrontare più oltre la sua opinione pubblica, cioé
               le personalità che abbiamo menzionato in precedenza e che erano poco favo-
               revoli al proseguimento della guerra. Nel suo discorso davanti ai grandi corpi
               dello Stato del 19 luglio, l’Imperatore riconobbe implicitamente questo stato
               di fatto: «Per servire l’indipendenza italiana, ho fatto la guerra contro il gra-
               dimento  dell’Europa;  appena i destini  del  mio  Paese han potuto  essere in
               pericolo, ho fatto la pace».
                  Il trattato di Zurigo dell’11 novembre 1859, che mette termine al conflitto,
               può essere considerato come un passo indietro in rapporto alle promesse fatte
               a Plombières: certo, l’Austria cedé la Lombardia alla Francia, che la retroces-
               se al Regno di Sardegna, ma il Veneto rimase austriaco. I sovrani dell’Italia
               centrale  conservavano  i  loro  Stati  ed  il  Papa  il  suo potere  temporale.  La
               Francia rinunciava alla Savoia ed alla Contea di Nizza. La promessa di rea-
               lizzare una «Italia libera fino all’Adriatico» era sepolta a gran discapito dei
               patrioti italiani e di Cavour, che si dimise. Di nuovo, si trovano gli stessi
               fattori che possono spiegare l’abbandono provvisorio delle promesse fatte a
               Plombières: paura della minaccia prussiana e rifiuto di rimettere interamente
               in discussione il Concerto europeo del 1815 per la politica estera, paura della
               Chiesa e dell’opinione cattolica francese in politica interna. L’Imperatore si
               piega dunque per realismo politico alle costrizioni che deve subire, ma pro-
               babilmente non è soddisfatto. Se gli avvenimenti non gli permettono d’anda-
               re in quella direzione, non entra per questo in gioco la sua testardaggine che
               lo spinga a modificare il suo atteggiamento.
                  Ora, questo è precisamente ciò che si verifica alla fine dell’anno 1859. I
               Toscani, i Parmensi ed i Romagnoli han votato la decadenza delle loro rispet-
               tive dinastie. Le assemblee costituenti elette domandano l’unione al Regno di
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