Page 317 - Il Risorgimento e l'Europa - Attori e protagonisti dell’Unità d’Italia nel 150° anniversario - Atti 9-10 novembre 2010
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Plebisciti e annessioni (1860). il dibattito al Parlamento subalPino.  317


               Parlamento subalpino avrebbe dovuto confermare quanto sarebbe dovuto
               uscire dalle urne del plebiscito. Quanto alla natura del ricorso al voto delle
               popolazioni, vi sono molte osservazioni da fare. Innanzitutto appare chiaro
               che la libertà del voto non appare tale, ed anche se di brogli veri e propri non
               si vuole parlare, i molti interventi a favore del voto favorevole furono assai
               più massicci delle opinioni contrarie. In questa azione vanno ricordati almeno
               due elementi: innanzi tutti, lo speciale ‘delegato’ personale del re a Nizza,
               Luigi Lubonis (nato a Nizza) nominato Governatore di Nizza, proprio per
               gestire il plebiscito che si mise a controllare pesantemente la stampa, e quin-
               di il vescovo di Nizza, Giovanni Pietro Sola (nato a Carmagnola), il quale
               liberato, con speciale provvedimento regio, dall’ubbidienza a Casa Savoia,
               impose, con una Circolare del 9 aprile 1860, (in francese) a tutto il clero ed a
               tutte le parrocchie di votare a favore della Francia ‘in nome dell’ubbidienza
               all’autorità della Chiesa’.
                  In secondo luogo va notato che la pratica del ricorso ai plebisciti non rien-
               trava nelle tradizioni dei governi piemontesi; infatti questa pratica non sem-
               brava se non un modo per coprire, con un concorso che si voleva ‘popolare’,
               una decisione che i sovrani avevano già presa. Ben lo ha scritto Benedetto
               Croce  che  questi  plebisciti  erano  “una  specie  di  finzione  giuridica,  senza
               dubbio una cerimonia simbolica, ma solamente simbolica del principio della
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               nazionalità...” . Nel regno di Sardegna, come nella Francia imperiale, il regi-
               me politico non aveva mai concesso alcun ‘diritto’ elettorale ai propri cittadi-
               ni, riservando solo al voto censitario di ‘grandi elettori’, e solo per la Camera
               dei Deputati, una pratica che non era certo espressione di una ‘volontà popo-
               lare’ visto che al  popolo nella  sua maggioranza  non era attribuito  questo
               diritto universale.
                  Il ricorso ai plebisciti da parte delle autorità piemontesi, in vista di legitti-
               mare  sul piano popolare,  le annessioni non rientrava,  né nelle  tradizioni
               sabaude, né nel testo costituzionale. Infatti, nell’art. 32 dello Statuto albertino
               del 4 marzo 1848, non vi è traccia nella parte riservata ai cittadini del Regno
               di alcun riferimento a tale istituto. Il documento si limita ad affermare che ai
               cittadini “è riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente senz’armi, unifor-
               mandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa
               pubblica...”. A questo punto rimane forte l’impressione che il ricorso ai vari
               plebisciti che diventarono una specie di rito nell’inizio del Regno d’Italia, fu
               solamente una apparenza di legittimazione popolare atta solo a soddisfare



               4    Benedetto Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, Bari, Laterza, 1948, p. 219.
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