Page 86 - Atti 2012 - L'Italia 1945-1955. La Ricostruzione del Paese e le Forze Armate
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                La maggior parte degli scafi affondati era concentrata negli specchi acquei
             dell’arsenale,  ma  non  solo:  24  navi  affondate  giacevano  nel  porto  mercantile,
             mentre entrambi gli accessi all’ampia rada erano ostruiti da navi ivi fatte affonda-
             re per bloccare qualsiasi accesso.
                I primi interventi furono concentrati agli accessi della diga foranea, per riuscire
             al più presto ad aprire un varco tra i relitti: il passo di ponente fu liberato il 23
             maggio 1945, seguito successivamente dal passo di levante. Fu così possibile far
             accedere i primi dragamine britannici per iniziare l’opera di sminamento. Pari-
             menti fu dato un forte impulso alla rimessa in efficienza dei bacini di carenaggio
             presenti in arsenale, necessari per poter riparare gli scafi che man mano venivano
             recuperati.
                Nella scelta degli scafi da recuperare fu data ovviamente la precedenza a quei
             mezzi la cui rimessa in efficienza avrebbe contribuito ad accelerare e rendere pos-
             sibili i lavori sulle altre unità. Venne pertanto dato corso con carattere di urgenza
             al recupero di una nave salvataggio sommergibili, provvista di due grosse gru da
             200 tonnellate ciascuna, nonché ad alcuni pontoni dotati anch’essi di adeguati
             mezzi di sollevamento.
                L’opera di bonifica e recupero non fu indolore: il 14 giugno 1945 il piccolo pe-
             schereccio Benvà, già requisito dalla Marina all’inizio del conflitto ed adibito alla
             vigilanza foranea ed al dragaggio meccanico delle mine ed unica nave in grado di
             navigare presente al 25 aprile, saltò in aria su una mina acustica perdendosi con
             l’intero equipaggio.
                L’opera di bonifica e recupero si protrasse per più di cinque anni: ancora alla
             fine del 1949, infatti, rimanevano sul fondo della rada circa una decina di relitti di
             una certa dimensione, il cui recupero e smantellamento sul posto fu effettuato per
             la maggior parte durante l’anno successivo.

             c.  Trieste
                Nella zona dell’Alto Adriatico erano presenti numerosi porti: Venezia, com-
             preso il sito di Marghera, la cui importanza era però relegata ad un ruolo seconda-
             rio, Monfalcone, importante soprattutto per la presenza dei cantieri navali, Trieste,
             compreso il sito di Muggia, porto importante soprattutto dal punto di vista com-
             merciale, Pola e Fiume, importanti basi navali relegate però a ruoli secondari.
                Tranne Venezia, che aveva sofferto decisamente meno di altre città i rigori del-
             la guerra, gli altri porti si trovavano nelle consuete condizioni, ovvero ingombri di
             scafi affondati o con le strutture cantieristiche danneggiate. Decisamente diversa,
             però era la situazione geopolitica: la conclusione del conflitto al confine orientale,
             infatti, aveva portato alla presenza in loco delle truppe jugoslave che rendevano
             estremamente delicata la situazione: Pola e Fiume erano ormai perdute e Trieste
             si trovò al centro di una contesa che si sarebbe risolta solo molti anni dopo e che
             comunque l’avrebbe pesantemente penalizzata nella ripresa economica.
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