Page 391 - Atti 2014 - La neutralità 1914-1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
P. 391

Workshop giovani ricercatori                                        391



             Le origini della politica estera americana
                Sino dagli inizi, la nuova nazione americana si era posta il problema della
             definizione del suo rapporto con l’Europa. Soprattutto quello dei legami con l’In-
             ghilterra e del commercio con il Vecchio Continente, essenziale per la sua crescita
             economica. Era comunque diffusa, già allora, la convinzione che, per mantenere
             autonomia e garantire la libertà dei propri traffici, occorresse evitare qualsiasi
             coinvolgimento nelle rivalità politiche europee e definire un insieme di principi
             che regolassero la politica estera americana.
                Il linea generale si andarono presto definendo due schieramenti: uno “ideali-
             sta” e l’altro “realista”. Appartenevano al primo Tom Paine e Thomas Jefferson,
             ambedue convinti che la vocazione commerciale americana avrebbe garantito al
             paese la pace e l’amicizia di tutta l’Europa. L’America, quindi, avrebbe dovuto
             rappresentare il motore di questa nuova idea, fungere da punto d’incontro di tutte
             le nazioni per una comunicazione reciproca della felicità. In quella nuova era della
             democrazia, quindi, le relazioni tra le nazioni, avrebbero dovuto essere guidate da
             «nient’altro che un codice di moralità».
                Alexander Hamilton e John Jay, i maggiori esponenti del campo realista, non
             credevano  nel  presunto  legame  tra  commercio  e  pace. Anzi,  ritenevano  che  il
             commercio fosse una delle prime cause di guerra. Jay scriveva, a questo proposito
             sul The Federalist (n. 4) che «per quanto ciò possa non tornare a vantaggio della
             natura umana, è purtroppo vero che le nazioni, in genere, saranno sempre disposte
             a fare la guerra ogni qualvolta avranno la minima prospettiva di guadagnarci qual-
             cosa». Per questo motivo, l’America doveva essere guidata dal proprio tornaconto
             come qualsiasi altro paese.
                Ambedue gli schieramenti si trovarono d’accordo nel sostenere che gli Stati
             Uniti avrebbero salvaguardato più efficacemente la propria sicurezza isolando-
             si dalle rivalità geopolitiche europee e ottenere maggiori vantaggi anche com-
             merciali senza assumere impegni politici e militari vincolanti con gli altri stati.
             Convinzione riflessa da Jefferson nella frase: «pace, commercio e amicizia sicura
                                                              5
             con tutte le nazioni, alleanze vincolanti con nessuno» . La posizione di Jeffer-
             son creava i presupposti per un dilemma ancora irrisolto allo scoppio della prima
             guerra mondiale. Quello, cioè fra isolazionismo e neutralità restando anche aperta
             l’ipotesi che il secondo principio fosse un corollario del primo. L’isolazionismo
             significava, infatti, mantenere una ben definita separazione dalle politiche e dal-
             le guerre del vecchio continente. La neutralità implicava il restare distanti dalle
                                                                              6
             guerre europee lasciando aperto il diritto del commercio con i belligeranti .
                Jefferson, proveniente dall’ambiente aristocratico terriero della Virginia, inten-

             5   c. a. KUPchan, La fine dell’era americana. Politica estera americana e geopolitica del ventu-
                 nesimo secolo, Milano, Vita e Pensiero, 2003, p. 206.
             6   r. W. tUcKEr, Woodrow Wilson and The Great War, University of Virginia, 2007.
   386   387   388   389   390   391   392   393   394   395   396