Page 46 - Atti 2014 - La neutralità 1914-1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
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             pevole che di quando in quando (se non altro per motivi di salute, come si vide dal
             1905) era necessario o almeno opportuno affidare ad altri la presidenza del Con-
             siglio, non volle o non seppe far emergere un autentico  alter ego all’interno della
             propria maggioranza. “Dittatore parlamentare” secondo alcuni storici e biografi,
             italiani e stranieri, “demiurgo” secondo altri (anzitutto Filippo Burzio), sui tempi
             lunghi Giolitti non riuscì nell’impresa più ardua: assicurare continuità al sistema
             istituzionale e sulle convergenze politico-parlamentari, che rimasero incardinate
             sulla sua persona. I limiti della “svolta liberale” d’inizio Novecento (pur reale e
             dai risultati importanti)  si coglie dal profilo anagrafico che caratterizzò i governi
             susseguitisi dal 1900 al 1914 (ben dieci in quattordici anni), cioè l’anzianità sem-
             pre più  accentuata dei loro presidenti e dei loro componenti di spicco: Giuseppe
             Zanardelli (1826-1903), Alessandro Fortis (1841-1909), Sidney Sonnino (1847-
             1922), Luigi Luzzatti (1841-1927) e Giolitti stesso, presidente del Consiglio la
             prima volta appena cinquantenne (1892-1893), tornato ministro dell’Interno nel
             governo Zanardelli a 59 e dimissionario nel marzo 1914 dal suo quarto governo
             (il “Ministero lungo”) quando ne aveva ormai 71. È pur vero che anziani furono
             anche molti presidenti dall’Unità a fine Ottocento, soprattutto della Sinistra sto-
             rica ( Agostino Depretis, 1813-1887 e Francesc o Crispi, 1818-1901): ma quelli
             arrivavano dalle cospirazioni preunitarie, mentre proprio l’ascesa di Giolitti al
             vertice dell’esecutivo a soli cinquant’anni aveva lasciato intravvedere un ringio-
             vanimento della classe politica e di governo: un cambio tanto più atteso dopo
             l’assassinio del cinquantaseienne Umberto I e l’ascesa al trono del trentunenne
             Vittorio Emanuele III.

                Apparentemente tessere di uno stesso mosaico, dalla sinistra alla destra co-
             stituzionale; in realtà quei primi ministri, come i presidenti dei due rami del Par-
             lamento e la maggior parte dei ministri, erano espressione della fragilità della
             maggiorana “liberale”, incapace di assumere forma organica quando già erano
             nati il partito radicale, il partito socialista italiano (1882-1892), la prima democra-
             zia cristiana, il partito repubblicano e mentre sorgeva l’Associazione Nazionale,
             che poi prese corpo nel Partito nazionalista italiano. I “liberali”, invece, rimasero
             una nebulosa, fatalmente attratta da forze numericamente minoritarie ma  cultu-
             ralmente agguerrite e determinate a imporsi, come appunto si vide nel 1914-1915,
             quando la “piazza” prevalse sulle istituzioni.
                Nel  quindicennio  della  sua  egemonia  politico-parlamentare  Giolitti  attrasse
             parte della sinistra costituzionale (una quota significativa dei radicali, i riformisti
             guidati da Leonida Bissolati, Ivanoe Bononi e Angelo Cabrini, che però erano
             espressione  di un socialismo moderato quasi esclusivamente settentrionale e co-
             munque rifiutarono di assumere responsabilità nei governi da lui presieduti) e,
             grazie alle prudenti scelte di papa Pio X, ebbe la fortuna che in quegli anni non
             nascesse un “partito dei cattolici” né un “partito cattolico” (a differenza di quanto
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