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50 la neutralità 1914 - 1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
di antigiolittiani per partito preso (Gaetano Salvemini) con l’adesione di pacifisti
(tra i quali Teodoro Moneta, già premio Nobel per la pace), che non esitarono a
schierarsi a fianco della “missione di civiltà” avviata dal governo di Roma: plau-
dita anche da socialisti umanitari come Giovanni Pascoli nel celebre discorso “La
grande proletaria si è mossa”. Il successo conclusivo della guerra (pace di Ouchy-
Losanna, 24 ottobre 1912) fuse le motivazioni di Giolitti (necessità/fatalità) con
quelle dei nazionalisti, come Enrico Corradini e mise ai margini l’addebito di
sperperare risorse insostituibili per conquistare uno “scatolone di sabbia”. Un re-
pubblicano (per di più massone) come il geografo Angelo Ghisleri, niente affatto
tenero nei confronti del governo, documentò che la “quarta sponda” non era af-
fatto il deserto sterile di cui parlavano quanti (a differenza di lui che la esplorò
per conto del ministro dell’Agricoltura, Francesco Saverio Nitti) non vi avevano
mai messo piede. Il governo ottenne anche il plauso dei cattolici, in misura per-
sino superiore a quanto gli fosse politicamente gradito perché molto partigiano e
destinato a suscitare l’avversione di radicali, repubblicani, massimalisti e dei non
molti liberi pensatori pacifisti.
Nel 1912-1913 il triangolo isoscele allungò il lato corto con il conferimento
del diritto di voto a 8.500.000 maschi maggiorenni capace di leggere e scrivere,
a quanti avessero prestato il servizio militare o a trent’anni compiuti anche se
analfabeti, perché (argomentò Giolitti) il diritto di scegliere i propri rappresentanti
non poteva più dipendere dal maneggio delle 24 lettere dell’alfabeto. Il sovrano
e il presidente del Consiglio e i loro più stretti collaboratori erano pienamente
consapevoli che il tempo poteva riservare sorprese. Tutti gli Stati si armavano,
ma la rete di alleanze e di controalleanze costituivano una garanzia di stabilità del
“concerto europeo”. Proprio le guerre balcaniche (da alcuni considerate sinistra
profezia della conflagrazione generale) mostrarono invece che il sistema reggeva:
si sostanziarono infatti in una ridda di spostamenti di confini come era accaduto
altre volte nel “secolo della pace” dal congresso di Vienna a quel momento, con la
differenza che le scosse di assestamento non riguardavano più l’Europa centrale
ma i Balcani e quindi risultavano periferiche e più sopportabili. Esse non misero in
discussione la tenuta dell’impero turco-ottomano, ancora forte di enormi risorse.