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54         la neutralità 1914 - 1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana



             monarchia asburgica nei Balcani. Sin dal 9 agosto 1914, invero, da Fiuggi (ove
             “passava le acque”) di San Giuliano prospettò a Salandra “se non la probabilità,
             almeno la possibilità che l’Italia debba uscire dalla sua neutralità per attaccare
             l’Austria”(...) “quando si abbia certezza, o quasi certezza di vittoria, e quando,
             perciò, le sorti della guerra generale accennino in modo abbastanza sensibile a
             volgersi cot nro Austria  e Germania”. Nel frattempo, poiché  quel voltafaccia
             sarebbe stato considerato in tutta Europa “come un atto di slealtà, e accrescerebbe
             la diffidenza verso di noi anche da parte di quelli che diventerebbero i nostri nuovi
             alleati, involgerebbe per noi grandi rischi non soltanto in caso di sconfitta, ma
             anche nel caso di  vittoria perché la nostra posizione nel Mediterraneo potrebbe
             diventare oltremodo pericolosa con una Francia vittoriosa e coi nostri attuali alle-
             ati trasformati in nemici implacabili”. Poiché “non si possono avere mai garanzie
             di segretezza quando si tratta col Governo francese”, quale unica sede idonea per
             compiere i successivi passi felpati il ministro indicò Londra, “e nessun altro posto,
             neanche Roma”.
                  A fine agosto lo scenario rimaneva immutato sul piano bellico e quindi su
             quello diplomatico. L’Italia doveva continuare a dialogare con Vienna, Come il
             ministro scrisse all’Ambasciatore  a Parigi, Tommaso Tittoni, sarebbe stata “follia
             “ impegnare l’Italia “in una guerra (contro l’Austria NdA) con così poche pro-
             babilità di vittoria”, tanto più che le flotte franco-inglesi mostravano di voler a
             risparmiare quella austro-ungarica, per non indebolirla nei confronti della russa.
                  Se Giorgio V d’Inghilterra premeva per l’intervento immediato dell’Italia a
             fianco dell’Intesa (come segnalava Imperiali a San Giuliano il 1° settembre) l’an-
             damento della guerra, con i rovesci austriaci a opera dei russi, rendeva “di giorno
             in giorno meno necessaria” la partecipazione dell’Italia a fianco dell’Intesa: sem-
             mai, anzi, consentiva di alzare la posta con Vienna. Se a inizio agosto la scelta
             dell’Italia aveva giovato soprattutto alla Francia, libera di concentrarsi contro la
             Germania, ora era vitale per la monarchia austro-ungarica, altrimenti costretta a
             distrarre ingenti forze sul fronte russo-serbo per fronteggiare il pericolo dell’in-
             tervento italiano.
                A fine mese Vittorio Emanuele III approvò il “telegramma” redatto da San
             Giuliano e dal segretario generale del ministero degli Esteri, Giacomo De Marti-
             no: base del futuro “accordo” di Londra, atto ad “assicurarci la miglior situazione
             diplomatica e militare possibile per conseguire il grande scopo nazionale, cioè
             dare all’Italia i suoi naturali confini” (29 settembre).
                Nelle due ultime settimane di vita il ministro continuò nondimeno a intratte-
             nere cordiali rapporti con gli ambasciatori di Vienna, barone Karl von Macchio,
             a Roma in missione speciale, e di Berlino, Hans Flotow. Del pari raccomandò
             a Salandra di interpellare Giolitti (28 settembre) e di sincronizzare le decisioni
             dell’Italia con quelle della Romania: se fossero intervenute congiuntamente sa-
             rebbero (forse) state decisive.
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