Page 57 - Atti 2014 - La neutralità 1914-1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
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             gennaio Giolitti 1915 fece pubblicare nella “Tribuna” la lettera al “Caro Peano”,
             nella quale si diceva convinto che  “molto” si potesse ottenere con le trattative
             diplomatiche.
                Privo di contatti diretti e indiretti con i singoli componenti del Governo e con
             i suoi tre principali attori (Salandra, Sonnino, Ferdinando Martini), egli rimase
             ignaro sia della svolta di metà febbraio, sia della firma del Patti di Londra (26
             aprile 1915), della cui esistenza venne informato da Carcano intorno al 12 mag-
             gio, quando si recò a Roma, ma non fu informato dei dettagli: motivo sufficiente
             a declinare la proposta  di formare un nuovo governo avanzatagli dal re dopo le
             dimissioni  di Salandra.
                Il 3 aprile, nel timore che un cambio di alleanze avrebbe reso “nemiche irre-
             conciliabili Germania e Austria” senza assicurare vera amicizia di Francia e Rus-
             sia, scrisse:“La slealtà ha sempre torto”.
                Dopo lunghe tergiversazioni, che si illudeva fossero note solo a se stesso e ai
             pochi intimi e ignorate a Vienna e a Berlino, Salandra avviò quella che a lui pa-
             reva la stretta finale del passaggio dall’alleanza difensiva con gli Imperi Centrali
             a quella offensiva a fianco dell’Intesa. Il 16 marzo 1915 agli ambasciatori venne
             scritto che occorreva  fingere di trattare con l’Austria, mentre da tempo era stata
             scelta esclusivamente Londra (più riservata rispetto alla pettegola Parigi) quale
             sede di sondaggi riservatissimi in vista del cambio di alleanza. Il 20 marzo le
             trattative presero corpo. Con istruzioni segrete ne venne fissato il “modus proce-
             dendi”. Salandra e Sonnino proseguirono tramite l’ambasciatore Guglielmo Impe-
             riali. Ribadirono la necessità di mantenere il segreto: mera illusione.
                Il 6 aprile 1915, a trattative avviate, quando ormai il governo del re, ancora
             alleato di Vienna e Berlino, aveva bruciato molte navi alle spalle, il primo ministro
             Herbert Henry Asquit ripeté a Imperiali (affinché ne riferisse a Roma) che “qua-
             lora si giungesse all’accordo”, l’Italia si sarebbe impegnata  a “non concludere
             pace separata ed aderirebbe all’analoga dichiarazione firmata nel settembre (1914,
             NdA) fra le tre potenze alleate (Regno Unito, Francia, Russia NdA), Due volte
             ripeté il Primo Ministro che in una guerra come la presente non vi potrebbero
             essere limited liabilities”.
                Nella seconda parte del colloquio il sottosegretario permanente agli Esteri, sir
             Arthur Nicolson, posò sul tavolo delle trattative il nodo aggrovigliato della tratta-
             tiva in corso: l’Italia continuava a parlare di  guerra solo contro l’Austria e la Tur-
             chia, senza menzionare  mai la Germania. Imperiali cercò si scansare l’obiezione,
             fondamentale, osservando che l’Italia si impegnava a combattere anche contro chi
             sarebbe andato in aiuto delle potenze alle quali dichiarava guerra. Un argomento
             contorto e capzioso, che mise sull’avviso Londra.
                L’Italia non era affatto un alleato a tutto tondo. Avrebbe fatto la guerra sua, non
             quella dell’Intesa. E quindi avrebbe ottenuto aiuti solo se e quando fossero stati
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