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58 la neutralità 1914 - 1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
considerati dal punto di vista di Londra, Parigi e dalla lontana San Pietroburgo
delle cui sorti alle potenze occidentali importava meno.
Tra la firma del “Patto di Londra” (26 aprile 1915), che impegnava l’Italia a
entrare in guerra entro trenta giorni contro gli Imperi Centrali e quello turco-otto-
mano, e la denuncia della Triplice, (3 maggio), l’Italia rimase nell’imbarazzante
situazione di essere alleata con tutte le potenze in guerra: vaso di coccio tra vasi
di ferro nell’opinione di chi conosceva l’andamento e la sostanza delle trattative.
Il 4 maggio Sonnino informò l’ambasciatore d’Italia a Berlino, Riccardo Bol-
lati: “(...) nei riguardi della Germania non è nostra intenzione prendere iniziativa
alcuna”.
Quattro giorni dopo il ministro degli Esteri trasmise a Bollati il messaggio di
Vittorio Emanuele III a Guglielmo II : “Je te remercie infiniment pour les expres-
sions si amicales que tu as bien voulu m’adresser par ton télégramme d’aujou-
rd’hui. J’ai très vivement regretté que des profonds contrastes politiques aient
sérieusement influencé les relations entre l’Italie et l’Autriche-Hongrie, et j’ai
beaucoup apprecié la haute valeur des efforts que ton Gouvernement a poursuivis
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dans un but de conciliation” .
Il lealismo di Giolitti verso la monarchia e l’Italia
Tra il 10 e il 16 maggio il triangolo isoscele cadde in pezzi.
L’ultimo tentativo di Giolitti di trattenere l’Italia dall’intervento in una guerra
che prevedeva ancora lunga ed esosa di vite e di risorse fallì per tre motivi: in pri-
mo luogo lo statista apprese che l’Italia aveva sottoscritto un accordo con l’Intesa
ma, non ne conobbe i contenuti e quindi non poté assumere la successione a Sa-
landra, quando questi rassegnò le dimissioni; inoltre, proprio perché notoriamente
fautore della trattativa con Vienna per ottenerne “molto” in cambio della protratta
neutralità, Giolitti ritenne che più idonei ad assumere la guida dell’esecutivo fos-
sero personalità di alto profilo gradite agli interventisti, come il presidente della
Camera, Paolo Carcano (che però rifiutò); in terzo luogo nel colloquio con lo Sta-
tista Vitttorio Emanuele III fece intendere di sentirsi personalmente vincolato da-
gli impegni sottoscritti dal suo ambasciatore il 26 aprile. Dei due lati lunghi dell’i-
soscele si sarebbe potuto o persino dovuto dire “Simul stabunt, simul cadunt”? Ai
sensi dello Statuto, i trattati comportanti “un onere alle finanze, o variazione del
territorio dello Stato” non avevano effetto “se non dopo ottenuto l’assenso delle
Camere”. Mentre era ben chiaro che l’ “accordo” era stato stipulato proprio per
variare il territorio con l’acquisizione delle terre irredente (nella misura decisa a
Londra, senza mai interpellare nel merito il Capo di Stato Maggiore dell’Eserci-
7 Documenti Diplomatici Italiani, Quinta Serie, 1914-1919, vol. III, p. 490.