Page 47 - Atti 2014 - La neutralità 1914-1915. la situazione diplomatica socio-politica economica e militare italiana
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vaticinato da don Davide Albertario e dai promotori della prima Democrazia cri-
stiana e poi da don Luigi Sturzo e da quanto accadde in altri Paesi europei dal Bel-
gio alla Germania). In Italia accanto a liberali moderati furono eletti alla Camera
deputati cattolici ma non cattolici deputati: sottigliezze propizie in tempi ordinari,
meno valide in quelli di emergenza. Ciò che però soprattutto mancò a Giolit-
ti e ai suoi più fidi collaboratori (Tommaso Tittoni, Angelo Majorana, Vittorio
Emanuele Orlando, Francesco Tedesco, Paolo Carcano, Pietro Lacava, Emanuele
Gianturco, Camillo Finocchiaro Aprile), all’esecutivo e alla Monarchia fu una or-
ganizzazione partitica unitaria, solida e territorialmente articolata. I costituzionali
rimasero frammentati in clientele, circoli, comitati, unioni e altri sodalizi, che tutti
insieme non si sostanziarono in una compagine capace di imporsi sulle frange
riottose. La maggioranza parlamentare rimase pertanto una nebulosa con alcune
personalità di maggior spicco e una molteplicità di esponenti di seconda e terza
fila: nell’insieme un impasto di forze che solo nel Parlamento trovava momenti
di vera unitarietà, per la sua inclinazione ad assecondare l’esecutivo in cambio di
leggi e di misure d’interesse locale. La centralità del Parlamento risultò quindi
più apparente che reale. Lo si vide quando il governo lo pose di fronte a scelte
non condivise, come appunto avvenne nel maggio 1915: deputati e senatori non
rappresentarono il Paese e si rassegnarono a concedere i pieni poteri all’esecutivo
senza sapere con chiarezza né immaginare dove esso avrebbe condotto gli italiani.
La mancata formazione di un vero partito liberale differenziò il sistema politi-
co italiano da quelli di potenze quali Gran Bretagna, Francia e Germania e di Stati
di minori dimensioni ma di alto interesse per l’evoluzione del modello politico
rappresentativo (i regni di Belgio, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia). Il regime
italiano rimase più simile al modello spagnolo, caratterizzato dalla instabilità e
vulnerato da ricorrenti delitti politici, come l’assassinio del liberalprogressista
Antonio Cànovas del Castillo. Quasi paradossalmente, lo stallo del liberalismo
in Italia coincise con la riflessione che alcuni studiosi (come Gaetano Mosca e
Vilfredo Pareto) stavano compiendo sulla formazione della classe dirigente e in-
dividuarono nel “partito” la vera discriminante tra il modello liberale organico e il
“cachiquismo” (Roberto Michels).
Mentre con le elezioni generali del 1904 e del 1909 il “sistema” registrò una
sostanziale continuità della rappresentanza alla Camera (l’incremento di seggi
dei partiti non costituzionali rimase lento e non omogeneo), il “paese virtuale”
(quello del dibattito ideologico) fu contrassegnato dall’aumento di forze e di voci
nettamente sovversive ed eversive. All’interno del Psi prevalsero i massimalisti,
che nel 1912 (congresso di Reggio Emilia) ottennero l’espulsione dei riformi-
sti. Tra i repubblicani predominò l’ala rivoluzionaria, contraria a qualsiasi com-
promesso con le “istituzioni”. I sindacalisti accentuarono la mobilitazione delle
piazze. Nondimeno, contrariamente a quanto solitamente asserito, non si può af-
fatto affermare che la “cultura” dei primo Novecento sia stata anti-giolittiana o