Page 421 - Il 1918 La Vittoria e il Sacrificio - Atti 17-18 ottobre 2018
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             circolare,  che richiedeva di eseguire “piccole ardite operazioni allo scopo non
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             solo di mantenere alto lo spirito combattivo delle truppe, ma essenzialmente
             di catturare dei prigionieri per procurarci delle notizie”. Le motivazioni erano
             sempre quelle più volte indicate da Cadorna e immutati nella sostanza erano
             pure i criteri di esecuzione: preparazione accurata e meticolosa, obiettivi ben
             definiti e limitati, impiego di piccoli reparti composti da elementi arditi e risoluti.
             Il documento testimonia però un diverso approccio alla gestione dell’elemento
             uomo: gli eventuali insuccessi non dovevano causare preoccupazione, ardimento
             e coraggio individuale dovevano essere premiati con la concessione immediata
             di ricompense al valore e per la cattura di prigionieri erano promessi premi tan-
             gibili sotto forma di piccole somme di denaro e giorni di licenza.
                Nella tarda primavera e nel corso dell’estate l’attività operativa, oltre che
             dalle consuete azioni di disturbo, interdizione e controbatteria dell’artiglieria,
             e dagli attacchi dell’aviazione ai terminali logistici e agli aeroporti fu rappre-
             sentata soprattutto da queste azioni a carattere locale. Il loro scopo era da un
             lato tenere le forze austro-ungariche impegnate sul teatro italiano impedendo il
             possibile invio di rinforzi in Francia, dall’altro accrescere nei soldati la fiducia
             in sé stessi, e sempre presente era poi l’obiettivo della cattura di prigionieri, allo
             scopo di accertare l’ordine di battaglia e le intenzioni dell’avversario. Se si con-
             sidera che negli ultimi quattro mesi del conflitto, tra luglio e ottobre, l’esercito
             italiano fece 4.124 prigionieri e 331 quello austro-ungarico, la superiorità degli
             italiani è evidente, come del resto nell’ottobre ammise a chiare lettere un testi-
             mone d’eccezione quale il colonnello Theodor  Körner, capo di stato maggiore
             della Isonzo-Armee, schierata nel settore del Piave: “Deve pur dare a pensare
             il fatto che gli italiani intraprendano così numerose azioni su tutta la fronte del
             Piave, mentre noi non facciamo nulla di simile. Da quanto ricavo dalla stampa
             lo stesso accade su tutta la fronte sud-ovest.  Ciò prova che grazie alla loro più
             forte volontà, alla migliore disciplina, ai rifornimenti meglio assicurati ed alle
             migliori condizioni politiche ed economiche, gli italiani si sentono superiori.”
                L’inesorabile logoramento della compagine della Duplice Monarchia faceva
             certo sentire i suoi effetti, ma non sarebbe corretto attribuire il vittorioso esito
             di molti scontri al cedimento interno dell’avversario. L’esercito della monarchia
             danubiana rimaneva infatti ancora saldo, soprattutto in quelle unità formate da
             soldati di nazionalità tedesca e ungherese, e in più occasioni, in particolare quan-
             do le incursioni non furono seguite da un pronto ripiegamento sulle posizioni di
             partenza, gli attaccanti furono costretti a impegnarsi in duri combattimenti. I suc-
             cessi ottenuti sono quindi da attribuire alle capacità del soldato italiano più che
             all’incipiente crollo dell’impero asburgico e vanno inseriti nell’ambito di quel
             processo di crescita e apprendimento che fece del Regio Esercito un’autentica


             16  Comando Supremo, Ufficio operazioni, Colpi di mano, n. 9465 del 29 marzo 1918.
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