Page 417 - Il 1918 La Vittoria e il Sacrificio - Atti 17-18 ottobre 2018
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giungere a una soluzione, avesse esaurito le sue forze contro una sistemazione
difensiva distribuita in profondità. Questo è in effetti quanto si è verificato nel
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1918 tanto sul fronte italiano quanto su quello occidentale, come sottolineato da
altri protagonisti di primo piano di quegli avvenimenti. Alla profondità si doveva
rispondere con la profondità, utilizzando più scaglioni di truppe con i reparti di
rincalzo chiamati a scavalcare le prime ondate per raggiungere l’obiettivo suc-
cessivo, sempre sotto la protezione di sbarramenti di fuoco mobili, durante gli
sbalzi in avanti, e fissi, durante le soste di consolidamento. Come ebbe a scrivere
già il 12 agosto 1917 il comandante della 2 Armata britannica, tenente generale
a
Herbert Plumer,“il nemico ha deliberamente sostituito la flessibilità alla rigi-
dità nella difesa, e credo che la risposta debba essere un’analoga flessibilità
nell’attacco”. Sul fronte italiano, complici il terreno, più aspro e tormentato, e
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la struttura stessa del Regio Esercito, meno incline a una decentralizzazione della
gestione della battaglia ai minori livelli di comando, questa evoluzione sarebbe
stata più lenta ma sarebbe comunque avvenuta nel 1918, come testimonia il te-
nente generale Francesco Saverio Grazioli, una delle menti più lucide e inno-
vative dell’esercito italiano, in uno studio prodotto nell’immediato dopoguerra
e indirizzato ai quadri dell’esercito: “Non basta proporsi di sfondare qualche
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linea dell’organizzazione difensiva nemica […] occorre penetrare a fondo nel
vivo di tutta la zona difensiva dell’avversario per arrivare al di là […] occorre
tutto predisporre per una alimentazione costante di forze e di mezzi adeguati
agli ostacoli che si incontreranno lungo la direttrice di attacco. Questa alimen-
tazione non si ottiene col peso della massa umana lanciata all’attacco in fitte
ondate contro tali ostacoli, ma con un razionale scaglionamento in profondità
dell’attacco analogo a quello già adottato dalla difesa.”
Anche queste soluzioni, che stavano dimostrando la loro validità sul campo
favorendo, sia pure con evidenti limiti, il ritorno della manovra, non potevano
però soddisfare chi aveva negli occhi lo stallo sanguinoso della guerra di trincea
e aspirava a una risposta più rapida e risolutiva. Secondo Douhet, anche con i
nuovi strumenti per la guerra terrestre, come i carri armati e le armi chimiche,
l’azione offensiva avrebbe comunque richiesto un’enorme preponderanza di for-
ze e ancora una volta, quindi, tutto si sarebbe tradotto in un’estenuante azione
di reciproco logoramento: “facile riuscirà fornirsi lo scudo, difficile, lungo e
laborioso provvedersi della lancia capace di forare lo scudo avversario in modo
da ferire il nemico al cuore”. Già da tempo aveva espresso l’idea che lo scudo
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8 Giulio Douhet, Sintesi critica della Grande Guerra, pag. 48.
9 Gary Sheffield e Dan Todman (a cura di), Command and Control on the Western Front. The
British army’s experience 1914-1918, Spellmount Ltd., 2007, pag. 126.
10 Francesco Saverio Grazioli, Saggio sull’evoluzione tattica della Grande Guerra, 1920.
11 Giulio Douhet, Sintesi critica della Grande Guerra, pag. 81.

