Page 95 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Il comando del Gruppo  Squadriglie Carabinieri di Corleone


                                              Le immagini fotografiche di quel periodo, oltre a raffigurare attività operative, soprat-
                                              tutto in campo aperto, all’ombra di Rocca Busambra o del monte Casale, lasciano
                                              intravedere sprazzi di autentica serenità e allegria tra i suoi Carabinieri, durante le
                                              poche situazioni di stasi operativa.
                                              Frequenti le foto di gruppo, così come quelle relative a una sorta di lotteria cui
                                              partecipano divertiti, a volte stupiti, tutti i Carabinieri del Gruppo Squadriglie, nel
                                              raccogliere premi anche alquanto originali. Sin da allora emerge il significato che
                                              Carlo Alberto dalla Chiesa attribuisce all’azione di comando, basata sì sul rigore e
                                              sulla disciplina, ma soprattutto volta a motivare il Personale posto alle sue dipendenze,
                                              facendolo sentire parte di un gruppo, di un progetto e sempre più, con il passare del
                                              tempo e il conseguimento di una maggiore maturità, di una famiglia.
                                              Due furono i grandi amori che il Gen. dalla Chiesa coltivò nella sua vita: l’Arma dei
                                              Carabinieri e la sua famiglia. Con il trascorrere degli anni, i due ambiti si sovrappor-  91
                                              ranno quasi del tutto fino al punto di non essere più distinguibili tra loro. Così come
                                              si fonderanno armoniosamente l’essere uomo con l’essere Carabiniere.



                                              4.  L’OMICIDIO DI GIUSEPPE LETIZIA


                                                                                    10
                                              Dopo gli omicidi di Calogero Comajanni  e Placido Rizzotto, il prestigio e il potere
                                              del giovane mafioso si accrebbero enormemente. Luciano Leggio non era più il

                                              10  Il 28 marzo 1945, la guardia giurata Comajanni veniva uccisa a colpi di lupara nei pressi della
                                              sua abitazione in Corleone; solo alla fine del 1949, dopo che si era già concluso il conseguente
                                              procedimento penale a carico di ignoti, il Comando Forze Repressione Banditismo, con rapporto
                                              del 31 dicembre 1949, denunciava quale autore dell’omicidio Luciano Leggio che, in concorso
                                              con Pasqua Giovanni, avrebbe agito per vendicarsi di essere stato arrestato e denunciato dalla
                                              umile guardia campestre. Dopo sei anni, la Corte di Assise di Palermo, con sentenza del 13 ot-
                                              tobre 1955, assolveva il Leggio e il Pasqua per insufficienza di prove: e dopo altri 12 anni, il 18
                                              febbraio 1967, la Corte di Assise di Appello di Bari, alla quale il procedimento era stato rimesso
                                              dalla Corte di Cassazione, rigettava l’appello del Pubblico Ministero e confermava la sentenza di
                                              proscioglimento di primo grado. Nel corso delle indagini di polizia giudiziaria, il Pasqua, arrestato
                                              dai Carabinieri mentre il Leggio continuava ad essere irreperibile, rendeva ampia confessione,
                                              dichiarando che il Leggio gli aveva manifestato propositi vendicativi contro il Comajanni per
                                              essere stato da lui denunciato e lo aveva invitato ad aiutarlo nel conseguimento della vendetta.
                                              All’alba del 28 marzo 1945, dopo un tentativo andato a vuoto la sera precedente, si erano ap-
                                              postati nei pressi dell’abitazione del Comajanni e, appena questi era uscito di casa, gli avevano
                                              esploso contro alcuni colpi di lupara. La vedova del Comajanni, alle precise contestazioni dei
                                              Carabinieri, richiamava l’episodio dell’arresto e della denuncia del Leggio ad opera del marito
                                              e dichiarava che la sera precedente il delitto, il Comajanni, rincasando, aveva riferito ai familiari
                                              di aver notato nei pressi di casa il Leggio e il Pasqua armati; essa stessa, all’indomani, aperta la
                                              porta all’esplosione dei colpi, aveva visto fuggire il Leggio. Il timore della sicura rappresaglia del
                                              delinquente le aveva impedito di riferire prima tali circostanze. Tre figli del Comajanni confer-
                                              marono di aver appreso dal padre che il Leggio e il Pasqua erano stati da lui incontrati presso
                                              casa poche ore prima che egli fosse ucciso e aggiunsero che la madre, passato il primo momento
                                              di più cocente dolore, aveva loro confidato di aver riconosciuto, in uno degli assassini, Luciano
                                              Leggio. Certo De Prisco Vito, arrestato col Leggio per furto di covoni di grano, riferì che durante
                                              la detenzione, il Leggio stesso gli aveva espresso duri propositi di vendetta nei confronti di colui
                                              che aveva causato il loro arresto. Senonché, in sede giudiziaria, il Pasqua ritrattava la sua confes-
                                              sione, frutto – secondo le sue asserzioni –, delle violenze e dei mal trattamenti subiti; anche il De
                                              Prisco ritrattava le confidenze fattegli dal Leggio. Mantenevano sostanzialmente la loro versione
                                              soltanto i familiari dell’ucciso. Il Magistrato, dal canto suo, disponeva la ricostruzione dei fatti,
                                              l’ispezione e la planimetria dei luoghi, da cui si accertava che l’abitazione del Pasqua distava 150
                                              metri dal luogo del delitto mentre molto lontana ne era quella del Leggio. La Corte di Assise di
                                              Appello di Bari (Presidente De Giacomo, Procuratore Generale De Bellis), come quella di primo
                                              grado di Palermo, dubitava del movente della vendetta, perché remoto nel tempo (agosto 1944)
                                              il fatto che avrebbe dato origine all’omicidio commesso sei mesi dopo (marzo 1945); dubitava
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