Page 97 - Carlo Alberto dalla CHIESA - Soldato, Carabiniere, Prefetto
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Il comando del Gruppo  Squadriglie Carabinieri di Corleone


                                              Certo è che il 21 marzo 1948 il quotidiano «La Voce della Sicilia» (n. 28) pubblicò un
                                              articolo dal titolo Un bimbo morente ha denunziato gli assassini che uccisero Placido Rizzotto nel
                                              feudo Malvello, nel quale si assumeva che Placido Rizzotto sarebbe stato sequestrato da
                                              numerosi uomini che, a un segnale di certo Criscione Pasquale, lo avrebbero condotto
                                              nel feudo Malvello, dove un ragazzo dodicenne, Letizia Giuseppe, rimasto in quel
                                              feudo per sorvegliare il gregge, avrebbe visto gli assassini compiere il delitto. Atterrito
                                              e sconvolto dalla terribile scena che si sarebbe svolta sotto i suoi occhi, il ragazzo
                                              avrebbe avuto delle allucinazioni e nonostante le cure prodigategli in Corleone dai
                                              medici, dottori Navarra e Dell’Aira, sarebbe morto dopo pochi giorni per cause non
                                              accertate. In altro articolo pubblicato nel n. 29 del 26 marzo successivo, col titolo Per
                                              avvelenamento e per trauma psichico l’allucinazione e la morte del bambino?, lo stesso giornale
                                              riferiva che uno di coloro che avrebbe spinto a forza il Rizzotto nella macchina come
                                              una bestia sul carro del macellaio sarebbe stato Luciano Leggio, fuggito la sera del 16   93
                                              marzo alla sola vista dei Carabinieri. L’Autorità di Pubblica Sicurezza procedette agli
                                              opportuni accertamenti in merito a quanto riferito dal quotidiano e con rapporto del
                                              22 marzo 1948 comunicò al Procuratore della Repubblica che il Letizia era deceduto
                                              per tossicosi, come da certificato di morte redatto dal dottor Dell’Aira Ignazio; che il
                                              ragazzo aveva avuto delle allucinazioni e aveva narrato al sanitario che due individui
                                              l’avevano invitato a prendere un coltello col quale avrebbero dovuto uccidere due
                                              persone e poi lui stesso; che la macchina di cui si faceva cenno sarebbe stata una
                                              Fiat 1100 appartenente a Leggio Luciano; che nessun elemento concreto era, però,
                                              emerso a carico di costui. Interrogati dal Nucleo Mobile Carabinieri di Corleone
                                              e in seguito dal giudice inquirente, i congiunti del Letizia esclusero che egli avesse
                                              narrato di avere assistito all’uccisione di Placido Rizzotto. Dall’autopsia eseguita
                                              sul suo cadavere, integrata da una perizia clinico-tossicologica sulle viscere, risultò
                                              che la morte era stata determinata da grave intossicazione e, più precisamente, da
                                              un’infezione acuta febbrile encefalopatica, che va sotto il nome di «delirio acuto» .
                                                                                                                        12
                                              Il Capitano Carlo Alberto dalla Chiesa lasciava, il 22 giugno 1950, il Comando delle
                                              Squadriglie di Corleone, dopo aver per primo indagato e fatto luce sull’omicidio di
                                              Placido Rizzotto, Comajanni e altri ancora, nonostante gli esiti delle vicende giudi-
                                              ziarie che si snoderanno nei lustri successivi sembrerebbero smentire le sue conclu-
                                              sioni. In realtà, sin da allora la lotta alla mafia era ineluttabilmente condizionata da
                                              diversi fattori: in primis, la presenza tra gli attori, anche istituzionali, delle vicende
                                              investigative e giudiziarie di personaggi per lo più in combutta tra loro. Poi, un aspetto
                                              che ricorrerà sempre più nelle vicende di criminalità mafiosa che si snoderanno nei
                                              successivi 70 anni, l’omertà, un’omertà che si diffonderà in modo esponenziale e di-
                                              rettamente proporzionale all’incapacità dell’azione repressiva antimafia di assicurare
                                              i responsabili alla giustizia; una certa compiacenza degli organi giudiziari requirenti,
                                              più volte dimostrata sia mancando di presenziare in prima persona in occasione
                                              di fatti criminosi gravissimi, affidando conseguentemente le indagini a magistrati
                                              onorari, non sempre estranei a legami di parentela con i protagonisti di tali delitti
                                              o facilmente condizionabili da parte dei mafiosi sospettati di esserne gli autori, sia
                                              dubitando della spontaneità delle confessioni di diversi indiziati/imputati di fatti di
                                              sangue, poi ritrattate dinanzi al Magistrato, asseritamente «frutto di pressioni e di





                                              12  Tratto dalla Relazione Pisanò della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle
                                              mafie della VI Legislatura, costituita il 5 ottobre 1972 sotto la presidenza del Sen. Carraro. In
                                              seguito alle dimissioni del presidente e della quasi totalità dei componenti, rassegnate il 23 gennaio
                                              1973, furono nominati nuovamente i componenti e il Presidente, Sen. Carraro. La legge istitutiva
                                              non prevedeva un termine di scadenza per l’effettuazione dell’inchiesta; la Commissione concluse
                                              i propri lavori con la presentazione della relazione finale il 4 febbraio 1976.
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