Page 217 - Carte Segrete dell'Intelligence Italiana il S.I.M. in archivi stranieri
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Il Ferzoli invece era andato a nord e forse stava operando con alcune for- Nella pagina a
mazioni della polizia repubblicana: non si poteva escludere che fosse stato og- fianco:
uno dei fogli
getto di pressanti interrogatori da parte dei nazisti. Il Calabrese probabilmente sull’attività di
era invece in Africa settentrionale, come prigioniero di guerra; di Nicola Russo, penetrazione
fino a quel momento almeno, il Greffi non aveva più notizie. della ‘Squadra
P’ di Manfredi
I membri della Squadra ‘P’ erano diventati dei veri specialisti indispensabili Talamo.
nel loro settore e per questa ragione raramente venivano avvicendati o diver-
samente impiegati. Servivano tempi lunghi per individuare il contatto giusto
nelle sedi diplomatiche, avvicinarlo, ottenerne la fiducia per poi reclutarlo.
Il Greffi riferì che era severamente proibito agli elementi della ‘Squadra’
discutere fra loro delle rispettive funzioni e questa regola veniva rigidamente
osservata come elemento di sicurezza reciproca.
La penetrazione nelle sedi diplomatiche avveniva lentamente ma era costan-
te e sistematica. Il primo dovere di questi sottufficiali era quello di conoscere
tutto il personale italiano dell’ambasciata loro assegnata, cercando di com-
prendere quali potevano essere gli elementi migliori, suscettibili di divenire
proficui contatti interni. Una volta individuato un soggetto, organizzavano un
suo incontro con Talamo. Le interviste che ne seguivano si svolgevano normal-
mente al Ministero della Guerra dove l’ufficiale assumeva un nome di copertu-
ra e riceveva in borghese, nel tentativo iniziale di non far comprendere la sua
appartenenza al S.I.M. Agli incontri non partecipavano quasi mai i sottufficiali
che avevano selezionato l’elemento, così da non apprendere il tipo di intese
intercorse tra il loro Capo e i potenziali agenti, anche se era ben comprensibile,
in un secondo momento, se quelle interviste erano andate a buon fine.
Raramente accadeva che il contatto rifiutasse la propria disponibilità al pri-
mo approccio; con un accordo di base, comprensivo degli emolumenti, l’agente
‘in pectore’ accettava. Solo in un caso, ricordava il Greffi, un italiano impiegato
all’ambasciata argentina chiese una somma esorbitante per quei tempi, 100.000
Lire: Talamo seccamente rifiutò.
La persona ‘reclutata’ o quella solo ‘contattata’ veniva ammonita sulla ne-
cessità di serbare il rigoroso silenzio su quanto gli era stato proposto e proba-
bilmente l’esortazione veniva accompagnata da alcune credibili minacce. No-
nostante il segreto di cui si circondava Talamo, qualcosa comunque era sicura-
mente filtrato all’esterno… se anglo-americani e nazisti erano riusciti ad avere
conoscenze abbastanza dettagliate sulla sua ‘Squadra’ e sui suoi componenti.
La parte più difficile di tutte le operazioni era quella di entrare in possesso
delle combinazioni delle casseforti, tanto che in alcuni casi i progetti di pene-
trazione non ebbero seguito.
Il lavoro concernente l’apertura delle casseforti veniva svolto in due modi: o
i contatti interni preparavano il terreno affinché operatori esterni potessero ot-
tenere il calco in cera delle chiavi, dando così la possibilità di averne un secon-
do paio: in questo caso fornivano informazioni dettagliate sui movimenti degli
Il s.I.M. per l’estero e all’estero 217