Page 369 - Conflitti Militari e Popolazioni Civili - Tomo I
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la PreParaziOne alla guerra nell’ecOnOMia fascista
la fine delle ostilità, malgrado la macroscopica portata dei conseguenti problemi di ricon-
versione del sistema economico, determinò una pressione generale per il ritorno al mercato, e
quindi per lo scioglimento dei “lacci e lacciuoli” imposti dal controllo di guerra, a comincia-
re, naturalmente, dai due ministeri a competenza specifica, quasi immediatamente disciolti.
Il fascismo affrontò il problema della preparazione bellica immediatamente dopo la con-
quista del potere, fornendo ad esso una soluzione che, rimasta sostanzialmente invariata fino
alla seconda guerra mondiale,può essere considerata come una delle cause più rilevanti della
risposta deludente data dal regime alla prova per esso vitale
Per la produzione bellica,si rinunciò in partenza ad una politica interforze della ricerca,
degli investimenti e dei controlli, in una parola del rapporto tra l’apparato militare e l’in-
dustria, ed i ministeri di forza armata (divenuti tre, con la costituzione dell’Aeronautica in
forma autonoma) ebbero competenza esclusiva in materia di commesse, come prima del ‘15.
Il depotenziamento della carica di capo di stato maggiore generale contribuì a fare escludere
qualunque possibilità di indirizzo unitario a livello di pianificazione, ma anche il semplice
scambio di informazioni e di valutazioni.
Una volta risolto, decidendo di non affrontarlo, l’aspetto tecnico-militare del problema,
l’altro, la mobilitazione civile, fu derubricato ad argomento di studio ed affidato ad un “comi-
tato per la preparazione”, presieduto ancora dal generale Dallolio, in seno alla Commissione
Suprema di Difesa. La struttura, anche dopo la sua istituzionalizzazione (legge 8 giugno
1925, n.969) mantenne il suo ruolo di sede di riflessioni non incidenti sulla realtà della pre-
parazione bellica, fino alla crisi dell’equilibrio europeo, a metà degli anni ’30.
Nello stesso arco di tempo il quadro istituzionale dell’economia italiana si modificò so-
stanzialmente, per effetto della complessa dinamica dei rapporti tra il regime e quelli che
oggi definiremmo i “poteri forti” del mondo economico.
Superata la fase iniziale, dominata da personalità dello spessore di Alberto De Stefa-
ni e Giuseppe Volpi, che potremmo sommariamente definire di orientamento liberista, con
l’approvazione da parte del Gran Consiglio della “Carta del Lavoro” (22 marzo 1927) si
passò all’affermazione esplicita della supremazia della politica sull’iniziativa economica.
Tre anni dopo, soprattutto per l’intensa azione svolta da una delle personalità emergenti del
regime, Giuseppe Bottai, l’ordinamento fascista dell’economia prese forma con l’istituzione
del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, vertice di una complessa struttura articolata a
livello territoriale (consigli corporativi provinciali) e per rami di attività economica (ben 22
organismi settoriali, per i quali fu riesumata la figura medievale delle corporazioni).
Poiché la struttura corporativa comprendeva le rappresentanze sindacali di entrambi le
parti del rapporto di lavoro, essa fu individuata soprattutto come sede di risoluzione dei con-
flitti, mentre la sua funzione di centro di elaborazione della politica economica del regime
perse progressivamente di peso, a favore delle strutture ministeriali tradizionali, ma ancor più
dei centri di pressione informali ai quali il regime offriva ampie possibilità d’azione.
Il settore scelto per la prima esperienza di conduzione politica diretta dell’economia fu la
produzione cerealicola, alla quale fu indicato il traguardo dell’autosufficienza, con l’obietti-
vo immediato della riduzione del disavanzo della bilancia commerciale agricola, e quello più
a lungo termine del superamento della condizione di dipendenza dagli approvvigionamenti