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372 XXXIV Congresso della CommIssIone InternazIonale dI storIa mIlItare • CIHm
Ministero delle Corporazioni), e ad una rete capillare per la sorveglianza dei marcati e delle
vie di comunicazioni. In questa area furono successivamente compresi anche i controllo in
materia di prezzi e di razionamento dei beni di consumo, finalizzati entrambi alla compres-
sione dei consumi privati ed al contenimento dell’inflazione.
La facoltà di fissare i prezzi massimi dei beni e dei servizi era stata attribuita fin dal 1938
(R.D. 16 giugno 1938, n.1387), ad un “Comitato corporativo centrale”, che esordì nel marzo
del ‘40 con il blocco dei prezzi dei beni di largo consumo ed il divieto, per le aziende, di
concedere aumenti salariali in misura superiore al 15%.
Scoppiata la guerra, fu imposto un calmiere generale con il R.D. 19 giugno 1940, n.953,
che vietò per sei mesi ogni aumento dei prezzi, degli affitti e dei salari; nel marzo successivo
il blocco fu prorogato fino al termine delle ostilità.
Il razionamento fu adottato gradualmente (per il pane, soltanto nell’ottobre ’41) , con una
certa confusione derivante dalla concorrenza di competenze tra le amministrazioni dell’Agri-
coltura, delle Corporazioni e dell’Interno, ed il partito nazionale fascista.
Il sistema sanzionatorio, particolarmente severo, arrivò a prevedere, nel luglio 1941, l’er-
gastolo e la pena di morte; dal 1942 la cognizione dei reati fu attribuita al tribunale speciale
per la difesa dello Stato.
Le strutture di controllo dell’economia di guerra – per la disciplina dei consumi come
per la produzione bellica – seguirono la sorte delle altre articolazioni del sistema politico-
amministrativo italiano, che fu diversa nelle due grandi aree in cui il Paese fu diviso dalla
proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943.
Nel sud, il problema del controllo della produzione bellica, praticamente inesistente, in
realtà neppure si pose
Ebbe invece rilevanza quello dell’alimentazione della popolazione civile, per la conver-
genza di almeno tre fattori, la distruzione dei raccolti e degli impianti di trasformazione per
effetto delle operazioni belliche, la paralisi dei trasporti, la diffusione di un generale rifiuto
della legalità, che provocò il collasso del sistema degli ammassi e della distribuzione me-
diante razionamento.
In realtà, nell’Italia a sud della “linea Gustav” e poi della “linea gotica”, non si trattò
neppure di condurre una politica economica di guerra, ma piuttosto di gestire un’economia
di emergenza, da parte di un potere politico fortemente delegittimato,, condizionato dalla
presenza di un’amministrazione militare di occupazione, e stretto tra l’assillo di procurare,
giorno per giorno, i rifornimenti necessari per la sopravvivenza, e l’urgenza di riprendere il
controllo della situazione.
Più complessa la situazione nel territorio della Repubblica Sociale Italiana, poiché lo
sfruttamento dell’apparato industriale costituiva un obiettivo di prima grandezza per la po-
tenza occupante, per la quale era quindi indispensabile garantire il livello di sussistenza ne-
cessario per il funzionamento del sistema industriale, mantenendo al tempo stesso un accet-
tabile grado di controllo dei prezzi.
Una volta assunto il controllo diretto della produzione bellica ed eliminata ogni possibili-
tà di interferenza da parte delle autorità repubblicane ( il Ministero della Produzione Bellica
fu soppresso all’inizio del ’44), alle autorità di occupazione si pose quindi il problema della
razionalizzazione del farraginoso ed inefficiente sistema italiano per il controllo del merca-