Page 65 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
P. 65
I.orraine Dietrich acquisite e nelle ricorrenti difficoltà economiche, responsabilità
maggiori ha la FIAT, che aveva ricevuto fin dal1923 dal Ministero dellhronautica
i primi Curtiss 0.12 importati per il trofeo Schneider. Ebbene la ditta torinese pla-
giò quasi ogni particolare del Curtiss nel suo A.20, progenitore di tutti i propulsori
FIAT in linea, introducendo quale elemento originale il ritorno ai tradizionali cilin-
dri separati.
Nel1933 apparve chiaro in Italia che i motori in linea a cilindri separati erano
arrivati alla fine di ogni possibile sviluppo. Si decise, quindi, di adottare il tipo ra-
diale raffreddato ad aria. I vantaggi connèssi con un peso minore e la diffusione
di cappottature meglio studiate aerodinamicamente facevano intravvedere la possi-
bilità, come poi avvenne all'estero, di ottenere aerei dalle prestazioni confrontabili
con quelle dei velivoli dotati di motori in linea e dalla minore sezione frontale. Poi-
ché non vi era alcuna esperienza significativa in questo campo di costruzioni, l~fa
Romeo prese la licenza dell'inglese Bristol, non disdegnando talora di copiare i deri-
vati Gnome-Rhone, la FIAT, dopo la riproduzione del Gnome-Rhone 14 Ksd, ac-
quisl dalla Pratt and Whitney il motore Hornet e l'influenza della casa statunitense
è evidentissima in tutta la produzione successiva.
Tale stato di diffusa arretratezza in campo motoristico ben s'accordava colmo-
desto panorama offerto dall'industria degli accessori. Non si brillava certo nel cam-
po delle eliche dove, prescindendo da irrisolti problemi di affidabilità nel comando
di controllo del passo, dalle Reed costruite dalla Caproni si passò alle Hamilton pro-
dotte dalla FIAT (riprese anche dalla Siai) ed alle Alfa Romeo, anch'esse di chiara
ispirazione estera. Solo la Piaggio si arrangiava in proprio, sviluppando un brevetto
dell'ingegner D~canio, ma alcuni confronti sugli stessi velivoli dotati sia di queste
eliche sia delle tedesche Vdm, mettevano in luce la miglior efficienza aerodinamica
del prodotto tedesco. Analoghi discorsi possono ripetersi sia per i carburatori sia
per le candele, dove l'industria nazionale era progettualmente e tecnologicamente
suddita di quella estera e, con l'avvicinarsi della guerra, rimase automaticamente
esclusa da ogni progresso che si realizzava altrove.
Taluni hanno sostenuto che la scarsa qualità dei combustibili impecfi l'evoluzio-
ne verso propulsori più moderni, che richiedevano carburanti e lubrificanti di mi-
gliori proprietà, ma è assurdo pensare che tali caratteristiche fossero insite nel greg-
gio utilizzato da altre nazioni e quindi le scelte dell'Italia, non potendo prevedibil-
mente accedere ai giacimenti aniericani o britannici, fossero obbligate. .
Il problema della benzina apre, infatti, altri discorsi. In Italia si assistette supi-
ni al progresso in questo campo. Per oltrepassare gli 80- 87 N.O., un limite ~ifficil
mente superabile con i processi di distillazione classica, negli USA, durante i primi
anni Trenta, si passò al processo di pirogenazione, poi all'idrogenazione, adottata
poi in Gran Bretagna (26) e in Germania, ed infine all'alchilazione che forniva ben-
(26) Nel1933, anche in Gran Bretagna vi furono non poche difficoltà:
«Fuel o/ higher than 77 octane was already iudged essential /or better performance, but the Treasury
exprenetl concem even at the costo/ an increase lo 80. Existing engines were unable lo accept 84
octane fuel without ma;or modifications, but advancetl engine designs would sul/er unless the octane
leve/ was raised. Uprating must come about». (M.J.F. Bowyer, Interceplor Fightm for the Royal Air
Force 19)5-45, Wellingborough, Patrick Stephens, 1984, pp. 18-20).
I:uso di benzina con tetraetile di piombo a 87 ottani venne poi introdotta con la Direclorate of
Technical Development 2JO del1933 e l'anno successivo si iniziò l'uso sperimentale di benzina
addittivata a 100 ottani. ·
63