Page 64 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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di circa 80 t/mese e quello di Modi 3 t/mese (23), e,  come confermano più fonti,
             all'armistizio sui piazzali degli stabilimenti vennero trovate scorte di materiali side-
             rurgici e di correttivi assai superiori a quelle disponibili allo scoppio della guerra
             (24) e che la riduzione del Ni nella costruzione di corazze per veicoli da combatti-
             mento dopo il1942 rispondeva a più moderne esigenze metallurgiche, coll'utilizzo
             di colate dalla composizione chimica simile a quelle, come visto, adoprate in Germa-
             nia per gli stessi scopi, e non a forzosi risparmi autarchici come da taluni si è-.voluto
             far erroneamente credere  (25).
                 Non diversamente avvenne nel campo delle costruzione aeronautiche, dove è
             ancora una volta da addebitare alle carenze dell'industria nazionale la riconosciuta
             scarsa qualità dei velivoli prodotti.
                 Si è spesso parlato di gravi lacune nel settore motoristico, sostenendo che ca-
             renze di energia elettrica, materie prime e macchine utensili costrinsero a mantene-
             re in produzione motori radiali di antica concezione. Da un punto di vista stretta-
             mente produttivo, ci sentiamo di affermare, ancora una volta, che questi fattori si-
             curamente influenzarono i volumi produttivi, ma è difficile immaginare che impe-
             dissero di costruire un motore radiale o in linea più moderno.
                 Nasce, quindi, spontanea la domanda: per quale motivo con quello che si aveva
             a disposizione non si costrul un egual numero di motori di altre caratteristiche e
             altra concezione?
                 Pensiamo  che  una  spiegazione  sia  da ricercare  nel  fatto  che  tanto  la  FIAT
             quanto l'Isotta Fraschini per lungo tempo non si preoccuparono di tenersi al corren-
             te su quella che oggi sappiamo essere  stata l'evoluzione del motore  aeronautico a
             pistoni. Infatti, fino allo scoppio della guerra, tutti i motori in linea raffreddati ad
             acqua costruiti dalle due ditte erano caratterizzati da una soluzione tecnica abban-
             donata da francesi, americani ed inglesi fin dagli anni Venti: l'uso di cilindri separa-
             ti, ciascuno dotato di una canricia di lamiera. Questa soluzione tecnica portava ad
             un peso maggiore, ad una minor rigidezza del basamento e delle teste, ad una mag-
             giore complessità costruttiva: fatti tutti èhe si traducevano in tempi e costi di co-
             struzione maggiori e nell'impossibilità di_ ulteriori sviluppi, senza alcun risparmio
             nelle materie prime.
                 Se ci riferiamo ai motori aeronautici di serie degli anni dal1928 al1935, è vero
             che quelli italiani possono essere considerati i migliori tra quelli a cilindri separati.
             Ma proprio nello stesso periodo le altre nazioni avevano abbandonato questa tecni-
             ca costruttiva per dedicarsi alla sperimenta,zione di motori con cilindri in blocco.
             Senza questa scelta coraggiosa esse non avrebbero potuto avere in produzione nel
             1940 propulsori in grado di evolversi verso potenze ancora maggiori. Se per l'Isotta
             Fraschini la ragione di tale mancata evoluzione si può anche trovare nelle licenze



             (23)  A.U.S.S.M.E., PB,  r.6,  f.4,  Ministero della produzione bellica, Cenni Sllllo s/o'f%0  sostenuto dal
                J1t1eSe per 14 [n'Ofllnione bellica nel/4 glll!m' 1940-4J e Sila entità nri confronti ekl/4 pmr~ 191.5-1918,
                Roma, Ministero dell'aeronautica, luglio 1943, opuscolo a stampa classificato «riservato», p.  81.
                I  consumi nel1939 erano,  rispettivamente, di cin:a 200 e 25  t/mese.
             (24)  Per un'analisi delle fonti disponibili, cfr.  L. Ceva-A.  Curami, La meccaniwnione ... , cit., vol.  l,
                p.  384, n.  66.
            · (25)  Ricordiamo che il carico di rottura degli acciai da corazze tedeschi, nonostante i cambiamenti
                introdotti durante la guerra nella composizione chimica, si mantenne sempre a valori superiori
                a 110 kg/mm2,  grazie ad appropriati cicli di tempra e rinvenimento.

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