Page 61 - L'Italia in Guerra. Il primo anno 1940 - Cinquant'anni dopo l'entrata dell'Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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no erogati, senza risultato, non trascurabili contributi alle industrie belliche per l'ac-
cantonamento di macchinari atti alla speciale produzione (15).
Dobbiamo, quindi, ritenere che l'attribuire alle sole materie prime ogni colpa
della non elevata produzione bellica italiana, sia quantomeno improprio, anche per
il fatto che nell'utopistica ipotesi di abbondanza di risorse minerali, macchinari e
personale, si sarebbe dovuto affrontare il problema energetico, indipendente nel ca-
so italiano dalla disponibilità di combustibili in quanto su 19.4 30 milioni di kWh
prodotti nel1940, solo 996 erano di origine terme-elettrica e ben 17.898 di origine
idroelettrica (16).
Materie prime e qualità degli armamenti
È difficile, poi, sostenere in assoluto il sillogismo tra materie prime e qualità
degli armamenti, come si è spesso sentito ripetere.
Pensiamo che le due considerazioni possano chiarire la nostra opinione.
In primo luogo le documentate lamentele delle Forze Armate italiane sulle me-
diocri qualità dei prodotti dell'industria bellica nostrana non rappresentarono una
novità del secondo conflitto mondiale. Già durante la guerra europea, in condizioni
quindi di possibile maggior disponibilità di minerali forriitici dall'Intesa, erano ap-
parsi chiari i limiti dell'industria nazionale. Limiti non certo quantitativi, come gli
avvenimenti dopo Caporetto ebbero a dimostrare quando scomparvero i controlli
frapposti dagli organi competenti a commesse indiscriminate assegnate ad industrie
animate al più da buona volontà e spirito patriottico.
I risultati della frettolosa indagine compiuta dalla Commissione d'inchiesta sulle
spese di guerra, singolarmente approfondita solo per alcuni grandi complessi indu-
striali, chiarirono inequivocabilmente come la produzione bellica. durante il conflitto
fosse di qualità scadente e nella maggioranza dei casi alienata nel primo dopoguerra.
In particolare, nessuna artiglieria, di nuova progettazione introdotta, rimase in servi-
zio al pari delle molte armi leggere sperimentate dalla fanteria, che non abbandonò
il fucile «mod. 91». Non diversamente avvenne per l'aviazione terrestre, dove accanto
alla produzione su licenza francese, rimasero in linea i soli Ansaldo «Sva» e i bombar-
dieri «Caproni» dei primi tipi, rivelandosi un fallimento tanto l'ambizioso programma
dei «Ca.5», quanto tutta la produzione della Siai del gruppo FIAT. Quanto poi all'at-
tività cantieristica è diffide confermare queste impressioni sulle unità maggiori, che
furono sottoposte negli anni Trenta a radicali ricostruzioni come nel caso delle tre
«Giulio Cesare»; ma tanto gli esploratori della classe «Bixio» e «Aquila», quanto i
sommergibili tipo <<A», «Pacinotti» e «Micca» e i MAS da 12 t, da 19 t e da 40 t
(questi ultimi su progetto statunitense Eleo) stentarono a rimanere anche formalmen-
te nel «Quadro del naviglio» fino alla fine degli anni Venti.
Buona parte di queste realizzazioni aveva dimostrato non solo gravi carenze
progettuali, ma anche deficitarie tecniche costruttive da parte delle industrie forni-
trici. Se da un lato si deve riconoscere che in molti casi l'entrata in servizio fu dila-
zionata, come nel caso dei MAS, dalla mancanza di materie prime, è altrettanto vero
che ritardi ancora maggiori erano dovuti a difficoltà nei trasporti ed alla indisponi-
(~) L. Ceva-A. Curami, lA meccanizztnione ... , cit., vol. l, p. 235, n. 43.
(16) lstat, Sommario di statistiche 1~61-1965, Roma, 1968, tav. 64, p. 85.
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