Page 333 - L'Italia in Guerra. Il quarto anno 1943 - Cinquant’anni dopo l’entrata dell’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi
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                    È difficile sfuggire all'impressione che, accanto a motivazioni attinenti
               la  difficoltà di  raccolta  dei  dati  relativi  alle  vicende industriali  nel  corso
               di uno dei più travagliati periodi della storia nazionale, vi sia stata in qualche
               misura la  ritrosia  ad affrontare un  periodo  nel  quale  il  comportamento
               di diverse categorie sociali, dagli imprenditori agli operai ai tecnici, è sta-
               to assai poco lineare, oscillando tra il collaborazionismo con l'alleato con
               il  quale si  era combattuto fino  al giorno prima e la  realistica valutazione
               sul probabile esito  del  conflitto  e,  dunque,  sull'opportunità di  stringere
               nuove alleanze (o, se si vuole citare Flaiano, di "venire in soccorso ai vin-
               citori").
                    Lasciando ad altri il tentativo di formulare una valutazione comples-
               siva sugli studi sul periodo della Repubblica Sociale Italiana e della  resi-
               stenza,  e  sulle  motivazioni  delle  inclusioni  e  delle  esclusioni  nei  temi
               affrontati, è forse  opportuno inquadrare l'economia di guerra del nostro
               paese in un contesto più ampio. In primo luogo si potrebbe sostenere che
               la vicenda italiana si  colloca a metà strada tra quella giapponese e quella
               tedesca, in quanto l'Italia arrivò a controllare, in Francia, aree altamente
               progredite sotto il profilo industriale, ma senza coinvolgerle nella produ-
               zione  di armamenti per il  conflitto  in corso,  data la  politica del  partner
               tedesco e la struttura dei rapporti che legavano al regime i maggiori grup-
               pi industriali.(2) Se  infatti l'espansionismo giapponese si  mosse essenzial-


               (2)  Significativa la vicenda del mancato coinvolgimento delle imprese francesi nella pro-
                  duzione di  carri armati,  sulla  quale si  veda L.  Ceva,  A.  Curami, La meccanizzazione
                  dell'esercito dalle origini a/1943, Roma, U.S.S.M.E., 1989, vol. I, p.  395-397. Secondo
                  G.  Perona,  "Aspetti  economici  dell'occupazione  italiana  in  Francia  novembre
                  1942-agosto 1943", in 8 settembre.  Lo sfacelo della quarta armata, Torino, Book Store,
                  1979,  p.  121)  "l'economia  italiana  di  guerra  [fu}  incapace  di  avvantaggiarsi dei  sistemi
                  produttivi dei territori occupati integrando/i in quello italiano" . L'autore esamina le vicende
                  dei  "principali progetti di sfruttamento" , sostenendo "l'impossibilità per l'Italia di
                  mantenere una propria prospettiva di espansione del 'nuovo ordine' europeo domi-
                  nato dalla  Germania"  (p.  130).  " ... per i tedeschi  dunque non solo  la  Francia  ma
                  il  sistema europeo era un insieme unico, al quale all'Italia toccava  una parte deter-
                  minata una volta per tutte" (p. 13 7), con buona pace del "ministero della Produzio-
                  ne bellica, dove si insisteva [nel maggio  1943} a considerare la zona occupata come
                  territorio di sfruttamento privilegiato"  (p.  138). Si  veda poi la grande speculazione
                  costituita dai recuperi di Tolone, con l'estromissione da  parte di Fiat e Ansaldo di
                  possibili concorrenti e il contrasto con gli interessi della Marina. La  vicenda confer-
                  ma che gli industriali "tendono bensì a fare  i propri interessi attraverso i meccani-
                  smi  della  guerra  fascista,  ma  a  intervenire  direttamente  solo  in  termini  di  relazioni
                  commerciali e industriali preservabili anche in avvenire" (p.  146). In un'altra occa-
                  sione l'autore ha dimostrato che "niente può forse far comprendere la sua [della Fiat}









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