Page 386 - L'Italia in Guerra. Il quinto anno 1944 - L’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi. (1944-1994)
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l  PRIGION IERI  ITALIANI  IN  MANI  ALLEATE                      385

               che volevano riprendere le armi e passare decisamente a  contribuire con
               gli  alleati  ex-nemici a  liberare l'Italia dall'occupazione tedesca  in forma-
               zioni italiane nuove o inquadrati negli eserciti alleati.  Riguardo al primo
               caso,  si  era  verificato  un  precedente  illustre,  in  piena guerra,  in  Africa
               Orientale, allorquando il gen.  Guglielmo Nasi firmò,  il  24 giugno  1942,
               con le autorità britanniche, nella sua veste di vice-governatore dell'Impe-
               ro e di ufficiale di più alto grado tra i prigionieri italiani dopo la  morte
               del duca d'Aosta, viceré d'Etiopia, il famoso "accordo di Eldoret" in base
               al quale ogni prigioniero veniva lasciato libero di accettare o no di lavora-
               re  per le  autorità inglesi;  in questo  caso l'accordo legittimava,  a  tutti gli
               effetti, una eventuale simile scelta. Da parte delle autorità inglesi il propo-
               sito di utilizzare i prigionieri italiani risaliva ad alcuni mesi prima dell' ac-
               cordo di Eldoret, allorquando fu  redatto al Cairo, il 30 gennaio 1941 dal
               Quartier Generale britannico un piano sull'uso dei prigionieri italiani ai
               fini di un lavoro politico antifascista. In tale piano a firma del col. C. Thor-
               nill e di F.  Stark, si facevano  interessanti osservazioni sulla situazione dei
               militari italiani e se ne ventilava l'inserimento in un complesso di decisio-
               ni britanniche per giungere allo sganciamento dell'Italia dall'Asse. Nel punto
               10  di  tale  Piano  veniva  evocata  questa  prospettiva  in  questi  termini:
                    ''Un  ulteriore  uso  di prigionieri,  che  noi  raccomandiamo  urgentemente,  deve
               dipendere dall'assistenza delle autorità militari; esse sole lo possono organizzare.  Si
               tratta di rendere i prigionieri italiani strumenti della lotta antifascista.  Noi pensia-
               mo che ciò possa avere successo nei confronti di circa i due terzi del numero disponibi-
               le dei prigionieri, a patto che gli altri - i veri fascisti - vengano separati e confinati
               a parte  il più  rapidamente possibile  dopo  la  cattura,  cioè  entro  una  settimana  o
               due ... " .<3>
                    Anche se  il  piano  non  andò a  buon fine  per  una  serie di  difficoltà
               politiche generali, rimane il fatto che una utilizzazione dei prigionieri venne
               anche ventilata  dallo  stesso  Churchill,  il  quale indicava  al  Comando Su-
               premo la  propria idea di concentrare in  Cirenaica  dei gruppi di prigio-
               nieri italiani allo scopo di. crearvi una colonia di Liberi-Italiani da utilizzare
               quale forza  anti-mussoliniana.  L'idea  era  di  inserire  in  questa  azione  di
               propaganda antifascista nei vari campi di detenzione coloro che erano sia
               per origini (i maltesi), sia per convinzioni politiche (i fuoriusciti antifasci-
               sti  d'Egitto  per  esempio)  in grado  di  meglio  spiegare  a  quelle  masse  di



               (3)  E. Aga Rossi, L 'inganno reciproco.  L'armistizio tra l'Italia e gli anglo-americani del settembre
                  1943,  Roma,  Ministero  per  i  Beni  culturali  e  ambientali,  1993,  p.  237.








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