Page 537 - L'Italia in Guerra. Il quinto anno 1944 - L’Italia nella 2ª Guerra Mondiale: aspetti e problemi. (1944-1994)
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536 ALDO A. MOLA
del trattato di pace sottoscritto da Alcide De Gas peri a Parigi il l O feb-
braio 1947: tre anni e sei mesi dopo la "resa" e venti mesi dopo la fine
della guerra in Europa.
La guerra ingenerò una profonda e per molti versi indelebile lacera-
zione in un Paese che aveva saputo affrontare e superare con tutt'altra
unitarietà le prove del 1915-18. Proprio a causa dell'esasperante lentezza
dell'avanzata anglo-americana lungo la penisola e per via del mancato sbarco
"alleato" in una qualsiasi regione dell'Italia settentrionale, nell'estate 1944
si acuirono differenze e contrapposizioni fra città e campagna, tra pianu-
ra e montagne, fra la spettrale "normalità" della RSI e l'anomalia, non
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esente da arbitri e violenze, di lotta partigiana e "zone libere". < >
Sospinta nell'abisso di una guerra senza prigionieri - o che sempre
più di rado sentiva il bisogno o l'opportunità di farne, come poi si vide
nella stretta finale dell'aprile 1945 -lacerata tra minoranza in armi e ge-
neralità di cittadini, anelanti alla sopravvivenza, l'Italia subì insomma una
semplificazione che si ripercosse pesantemente anche sui partiti politici,
di per se stessi profondamente difformi.
In forzata sintesi, questi ultimi possono essere suddivisi in partiti vec-
chi, vecchi partiti, partiti nuovi, nuovi partiti e movimenti in cerca di più
netta configurazione dottrinale e organizzativa.
Vecchi erano i socialisti, la cui riorganizzazione procedette con rit-
mo inverso all'urgenza dei tempi, nella certezza - confortata dalle prime
verifiche elettorali - della persistenza di una vasta adesione popolare; e
quanti dettero vita alla Democrazia del lavoro: un "laburismo italiano"
volto a conciliare matrici e tendenze un tempo contrastanti.
Ne erano esempio lvanoe Bonomi, già socialista riformista, poi libe-
raldemocratico, già ministro della Guerra nell'ultimo governo Giolitti e
quindi presidente del Consiglio a sua volta; Meuccio Ruini, liberaldemo-
cratico radicaleggiante; e molti altri eredi della dirigenza che aveva perdu-
to nel diretto confronto col fascismo perché già nel 1922-1926 aveva
mostrato di poter contare, sì, su un alto numero di leaders ma non su al-
trettanto vasto seguito elettorale.
Vecchio, s'è detto, risultava altresì il Partito socialista italiano (a par-
te alcuni spezzoni di "unità proletaria"), la cui dirigenza perveniva quasi
(4) È il caso, ben noto, della deprecata distruzione dell'abbazia di Monrecassino: esem-
pio emblematico di una certa concezione della condizione della guerra, soprattutto
da parre britannica.
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